Giovedì 18 Aprile 2024

Storie di ragazzi fragili, l’allenatore di Julia: “Non riusciamo più a comunicare con loro”

Marco Mencarelli, tecnico federale, ha cresciuto 12 generazioni di giocatrici: “Oggi i giovani hanno più mezzi per esprimersi, ma lo fanno a livello superficiale. Le nostre difficoltà a capirli devono diventare un argomento di formazione”

Storie di ragazzi fragili  L’allenatore di Julia  "Non riusciamo più  a comunicare con loro"

Storie di ragazzi fragili L’allenatore di Julia "Non riusciamo più a comunicare con loro"

"Quello che è successo a Julia ci conferma una cosa: che quelli della mia età fanno sempre più fatica a comunicare davvero con i nostri ragazzi, a capire come aiutarli nelle loro fragilità".

Marco Mencarelli conosceva benissimo la pallavolista che ha perso la vita volando dal sesto piano del Volley Hotel di Istanbul. Mencarelli è l’allenatore che ha formato dodici generazioni di atlete azzurre nelle nazionali giovanili, per decenni. Ha visto Julia da vicino fino a pochi mesi fa, dalla pre-juniores al Club Italia, quasi quotidianamente.

"E io lo torno a dire, nonostante le notizie arrivate dalla Turchia: la Julia che ho conosciuto io non può aver fatto quello che ho letto".

Mencarelli, il punto è proprio questo: lo dite in tanti, ma nemmeno ora vi viene il dubbio su qualche segno ignorato?

"No, adesso siamo tutti confusi, ma sono sicuro che la domanda cruciale, ’Perché’? resterà nella testa di tutti per anni. Julia era una ragazza determinata, con una grande forza di volontà, capace di reagire alle difficoltà sportive con una ’sfacciataggine’ positiva inconsueta, aveva un modo di affrontare la fatica senza porsi limiti. Anche nella dimensione esistenziale e non solo sportiva affrontava le sfide".

Lei è sempre stato educatore, non solo allenatore. Le nuove generazioni sono più fragili?

"No, le fragilità ci sono sempre state, le avevo anche io. La differenza vera, il problema più grosso sta nella capacità di comunicarle. Più si va avanti e meno i giovani comunicano, hanno molti più strumenti per farlo, ma si fermano a un livello superficiale. E le chiavi di accesso per stabilire una sintonia sono molto cambiate rispetto a quelle che servivano a noi. Su questo siamo un po’ impreparati, noi adulti siamo tagliati fuori da certi codici".

L’unica che aveva capito qualcosa è stata l’ex compagna Stella Nervini.

"L’anno scorso al Club Italia le avevo insieme in squadra, ma la comunicazione esiste all’interno del gruppo dei pari. La storia del gruppo di Julia mostra un incremento della solidarietà, il problema non riguarda i coetanei che tra loro formano ancora delle forti coesioni. È con i vecchietti come me che è difficile stabilire quella connessione. Parlo in termini più generali e non mi riferisco al caso specifico: tra coetanei, le avvisaglie del disagio sono condivise. Bisognerebbe chiedere a un esperto di psicopedagogia che ne sappia più di me quale possa essere il motivo per cui questa comunicazione poi fatica ad uscire".

Che cosa si può fare?

"La difficoltà di noi grandi nell’interpretare il comportamento delle giocatrici di queste età sta diventando un argomento di formazione per i componenti dei nostri staff, da quando sono rientrato in federazione due anni fa sto spingendo molto in questa direzione. Per dire che non c’entra con il caso di Julia, era un problema già percepito. In passato riuscivamo con maggiore consapevolezza a creare collegamenti tra un atteggiamento e uno stato d’animo, nelle ultime tre-quattro generazioni mi sono accorto che abbiamo difficoltà, che associo al cambio generazionale".

Julia fuori campo come era?

"Come in campo, anche a scuola aveva lo stesso atteggiamento. Erano tratti distintivi della personalità, non comportamenti: aveva idee chiarissime su quello che voleva essere, dovevi mandarla via dalla palestra perché era instancabile. Era sempre integrata al gruppo, mai visto un momento di chiusura".

Il suo procuratore dice che forse si sentiva sola, fuori, per via del fisico imponente.

"In passato abbiamo avuto problemi simili, nel caso di Julia non lo so perché non conosco bene l’altro ambiente che frequentava, la scuola. In palestra non contava, sono tutte alte...".

Subiva le pressioni?

"No, se le dava da sola. Era molto auto-esigente".