Non è ancora l’ora della tregua. Le bombe continuano a esplodere (dieci morti a Chernihiv tra la gente in fila per il pane, bersagli civili tra i partenti alla stazione di Zaporizhzhia), nuovi fronti militari e mediatici premono all’orizzonte (lo scenario bellico di Odessa, il destino dei 500 scudi umani a Mariupol). Ma tra l’Ucraina dilaniata dall’invasione di Mosca e la Russia crivellata dalle sanzioni, praticamente sull’orlo del default e con crescenti manifestazioni di protesta, le ragioni di un accordo negoziale si fanno largo tra verità, propaganda e macerie. Volodymyr Zelensky spedisce il film delle atrocità russe al Congresso degli Stati Uniti lanciando paralleli con l’11 settembre. Vladimir Putin occupa la tv pubblica di Mosca con una narrazione ultranazionalista e vittimista che paragona sanzioni e riprovazioni occidentali ai pogrom antisemiti dei secoli scorsi. "L’impero occidentale delle bugie ha molte risorse ma non batterà giustizia e verità", scandisce lo zar.
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Dietro le quinte però si lavora, accompagnati dall’eccessiva esuberanza dei mercati. In discussione non c’è solo un impegnativo cessate-il-fuoco ma l’avvio di un vasto programma di pace che sterilizzi alla radice le ragioni dell’intervento militare ordinato dal Cremlino. In bozza c’è un piano in 15 punti le cui linee guida sono anticipate dal britannico Financial Times. Nessuna smentita. Il punto fondamentale è uno: l’Ucraina rinuncia ad ogni ambizione di aderire alla Nato (le ultime uscite di Zelensky sono già un’ammissione) e si obbliga a non ospitare basi straniere in cambio della protezione di alleati da stabilire: nelle intenzioni di Kiev, Stati Uniti, Regno Unito e Turchia. Se la Russia, come ripete in tv lo stesso Putin, non ha "il desiderio di occupare l’Ucraina", l’accordo potrebbe così comporsi pur tra mille insidie e nonostante i sicuri veti di partenza.
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Nella ricostruzione del Financial Times "secondo tre persone coinvolte nei colloqui", "il ritiro russo" sarebbe la logica conseguenza della "dichiarazione di neutralità dell’Ucraina" con modello da definire: però né svedese (neutralità convenzionale) né austriaco (neutralità stabilita in costituzione). "Il modello può essere solo ucraino, basato su garanzie di sicurezza verificate legalmente. Nessun altro modello è un’opzione", chiarisce Mykhailo Podoliyak, consigliere di Zelensky e negoziatore. Secondo Podoliyak, oltre a "garanzie di sicurezza efficaci", e "alla conservazione del proprio esercito", Kiev necessita infatti della specifica previsione che "i firmatari della garanzia, in caso di attacco all’Ucraina, partecipino attivamente al conflitto e forniscano ufficialmente la quantità necessaria di armi" oltre a "garanzie dirette di chiusura dei cieli". La Russia è contraria. Insomma, la soluzione non è davvero vicina, ma la discussione per punti valorizza il tentativo di chiudere l’assedio.
Mosca soffre per la resistenza inattesa e ha tutto l’Occidente contro. In tv Putin avvisa i russi dei tempi duri per l’economia, annuncia aumenti di stipendio e misure di sostegno, ma ribadisce che non c’era "altra scelta" per la sicurezza del paese dopo "il genocidio" nel Donbass. "L’operazione militare speciale procede con successo e sarà terminata, non permetteremo che l’Ucraina sia usata come base per azioni aggressive contro la Russia", è il mantra. La realtà è invece che ad ogni giorno di conflitto la Russia vede diminuire le proprie opzioni: spianare le città come in Cecenia o in Siria non può essere la soluzione. E i veleni al Cremlino, tra richieste di fedeltà incondizionata e paura di tradimento degli apparati, suggeriscono prudenza.
Pragmatismo vorrebbe che Putin provasse a vincere con la diplomazia per poi rivendersi il successo in patria: magari tentando di imporre misure durissime agli ucraini come il riconoscimento della Crimea russa, l’autonomia piena del Donbass e l’ufficializzaizone del russo come seconda lingua parallela. Sono questi gli altri punti caldi in discussione. Ma vengono necessariamente dopo il tema della futura "neutralità" dell’Ucraina e di assetti militari che assicurino reciprocamente la pace.