Venerdì 26 Aprile 2024

Sì alle spese militari, ma la fronda non molla

Il premier ottiene l’ok sulla risoluzione che chiede di alzare al 2% del Pil il budget per le armi. Resta però il malumore di Lega e 5 Stelle

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di Antonella Coppari

La partita davvero difficile e fondamentale Draghi la giocherà oggi a Bruxelles. Ma anche ieri a Roma, nelle comunicazioni al Parlamento prima del consiglio europeo, si è misurato con tensioni sempre meno latenti nella sua maggioranza. Ai frondisti non ha concesso niente: deciso sulla scelta di fornire aiuti militari all’Ucraina, uno dei punti più dolenti per 5 Stelle e Lega. "Non aiutare militarmente gli aggrediti significa difendere gli aggressori, giustificare cioè tutti gli autocrati a cominciare da Hitler e Mussolini". Rigido sulla decisione di elevare la spesa per la difesa "fino al 2% del Pil", terreno scivoloso per metà dei partiti che lo sostengono, ma sul quale trova il pieno appoggio di Fd’I. "Intendiamo mantenere la promessa con la Nato". Tassativo infine sulla richiesta, più sussurrata che esplicitata, di puntare sulla trattativa con Putin: "Per fare la pace bisogna essere in due".

Tra le righe il premier chiarisce anche il punto di vista dell’Occidente: solo la sospensione delle ostilità dimostrebbe una reale disponibilità del leader russo alla trattativa. Senza di quella, "vuole solo guadagnare terreno dal punto di vista militare". Ottiene il via libera della maggioranza, ma è consapevole di avere un sostegno molto meno granitico di due settimane fa. Il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, è chiaro: "Servono toni più pacati: i suoi sono stati percepiti troppo belligeranti". Forte pure il segnale che M5s invia dalla Camera, astenendosi – malgrado il parere contrario del governo – sulla risoluzione di Alternativa che chiede di non aumentare le spese militari.

Il dissenso sul tema tiene banco a Palazzo Madama in vista del voto sul dl Ucraina la prossima settimana. Alla prese col caso Petrocelli – saltata la missione in Usa, l’idea è di espellerlo solo se voterà in contrasto col gruppo – i 5 Stelle sono ancora orientati a presentare un ordine del giorno in cui si confermi l’impegno ad aumentare gli investimenti per le spese militari, ma in via subordinata alla soluzione di altre emergenze come quella del caro-prezzi. Per il momento resta sullo sfondo l’ipotesi avanzata dal Pd di non presentare alcun odg. Mettiamo pure che i pentastellati ci ripensino e la mediazione democratica passi, non è detto si chiuda il capitolo. Fd’I potrebbe cogliere l’occasione di far proprio quel documento per acuire le tensioni. Schermaglie parlamentari che non impensieriscono Draghi. La scelta di tirare dritto si spiega anche con la necessità di presentarsi senza handicap alla trattativa odierna. SuperMario sa di aver pagato i sospetti di eccessiva morbidezza che si erano addensati sull’Italia nei primi giorni di guerra: "L’Europa all’inizio aveva dei dubbi, poi non ci sono state più esitazioni, e lo potete vedere dal comportamento del premier". Senza ombre, potrà affrontare le sfide di oggi. Prima di tutto, quella con Biden, che insisterà per passare a sanzioni ancora più drastiche con l’embargo totale su gas e petrolio russi. Non è un caso che Draghi abbia ieri ripetuto che quello con la Russia "non è né deve essere uno scontro di civiltà".

Anche più determinante la sfida sulle scelte europee. Draghi lo dice chiaramente, ricordando ciò che ha fatto il governo per gli italiani in difficoltà: "A difendere consumatori e imprese deve essere la Ue". Ma la posta in gioco è più alta, quella a cui mira il premier è una vera rivoluzione: "Il cambiamento deve essere più profondo di quanto non si poteva immaginare due anni fa". Certo, l’ex presidente della Bce è realista: sa che si tratterà di un negoziato lungo, da affrontare con pazienza. Ma la drammaticità del momento, impone di avviare quel processo immediatamente. A fronte di questa sfida a Bruxelles, i mal di pancia della maggioranza a Roma sono il problema minore.