Scrivania addio: l’ufficio del futuro è virtuale. I sindacati sono già sul piede di guerra

Per due ditte su tre lo smart working diventerà la norma. I giuslavoristi: servono accordi personalizzati e flessibili. Le sigle confederali non ci stanno e vanno in pressing sul governo: "No a nuove leggi, decida la contrattazione collettiva"

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Roma, 28 settembre 2020 - Lo smart working 4.0 in versione strutturale partirà davvero alla fine di quella che si presenta come la seconda ondata della pandemia, ma i sindacati hanno posto già sul tavolo del ministro Nunzia Catalfo i nodi da sciogliere per la futura regolazione dello strumento: diritto alla disconnessione e orari di lavoro, tutela della salute e disponibilità dei mezzi tecnologici, per cominciare. Con la richiesta pressante che non sia una nuova legge a intervenire, ma la contrattazione collettiva.

Il problema si porrebbe nell’immediato, perché il 15 ottobre scade lo stato di emergenza e, dunque, da quella data verrebbe meno la disciplina eccezionale introdotta a marzo scorso che prevede una procedura semplificata per l’attivazione e la gestione del lavoro "agile" senza l’obbligo dell’accordo individuale del lavoratore.

Il punto è che questa modalità di lavoro non rimarrà una parentesi. Da Aidp (Associazione italiana dei direttori del personale) emerge che oltre il 68% del campione ha dichiarato che prolungherà le attività di smart working anche nella fase di ritorno ad una "nuova normalità". Insomma, due aziende su tre continueranno a ricorrere allo strumento anche nel mondo post-Coronavirus (nella Pubblica amministrazione, l’obiettivo è il 60% a regime). "Il post-Covid – ha spiegato il presidente di Aidp, Isabella Covili Faggioli – vedrà una crescita sostenuta dello smart working come strumento strutturale dell’organizzazione del lavoro con percentuali superiori rispetto a prima; nella valutazione tra rischi e opportunità quest’ultime hanno una percezione molto elevata rispetto alle criticità che pur ci sono".

Tra i maggiori vantaggi, secondo i direttori delle risorse umane, si segnalano: risparmio di tempo e costi di spostamento per i lavoratori (69%); maggiore soddisfazione dei dipendenti e miglioramento della vita in termini di work-life balance (64%); aumento della responsabilità individuale (46%). Gli svantaggi sono: la perdita delle relazioni sociali (62%), la mancanza di separazione tra ambiente domestico e lavorativo (32%); rischio di un sovraccarico di lavoro (21%).

Da qui anche il pressing dei sindacati per una regolazione che vada oltre l’emergenza: diritto alla disconnessione innanzitutto, ma anche mix equilibrato fra lavoro da remoto e lavoro in ufficio. "In vista della fine del regime di emergenza – avvisa il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra – dobbiamo arrivare a un’intesa concertata tra governo, sindacato e imprese per stabilire saldi affidamenti reciproci da attuare nei luoghi di lavoro attraverso la contrattazione nazionale, aziendale e territoriale". È "fondamentale ripristinare le norme saltate con i provvedimenti emergenziali, a partire dal diritto all’accordo individuale o alla dotazione strumentale a carico delle aziende", insiste la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti.

Ma il padre della prima legge sul lavoro ’agile’, il giuslavorista Maurizio Del Conte, non esita a mettere in guardia da eccessivi irrigidimenti: "Non vanno riprodotti modelli ordinari per una forma di organizzazione rivoluzionaria, che deve essere flessibile. Vanno bene accordi aziendali, ma non nazionali. Gli accordi sono per forza personalizzati. Il dipendente ha obiettivi da raggiungere e va valutato in base a quelli".