di Raffaele Marmo Il caro-prezzi non solo ha mandato al macero il cosiddetto "Patto della fabbrica" siglato qualche anno fa (un’altra era geologica) tra industriali e sindacati, ma rischia di innescare un vero scontro tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per la caduta drastica del potere d’acquisto delle retribuzioni, con lo spettro della spirale prezzi-salari all’orizzonte. Un incubo che ha minato l’economia italiana tra gli anni Settanta e la metà degli Ottanta e che oggi, in piena ripresa, viene evocato come un pericolo da scongiurare dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E il perché dell’avviso ai naviganti del numero uno di Palazzo Koch è presto detto: "Va evitata la futile rincorsa tra salari e prezzi già vista nella crisi petrolifera degli anni ‘70. Allora e ora è impossibile non patire la tassa dell’aumento dei prezzi dell’energia, essendo un onere esterno. Il rischio è che una rincorsa salari-prezzi porti a un marcato e persistente aumento dell’inflazione". Il punto è che, finita dal ’78, per merito di uno dei leader storici della confederazione di Corso d’Italia, Luciano Lama, la tesi del salario "variabile indipendente", e chiusa anche la stagione della scala mobile con il referendum dell’84 di Bettino Craxi e Gianni De Michelis, nessuno si aspettava che poco meno di quarant’anni dopo potesse riesplodere il nodo della salvaguardia del valore reale degli stipendi. E, invece, il caro energia e materie prime ha fatto impennare i prezzi di tutta la filiera della produzione e dei servizi, con un impatto devastante non solo sui costi delle imprese, ma anche sulle bollette e sul carrello della spesa delle famiglie. Da qui una trappola dalla quale appare complesso venire fuori. Ma che sta già provocando quel conflitto tra sindacati e associazioni imprenditoriali che i più avveduti osservatori segnalano da tempo. L’inflazione, però, non fa sconti e ...
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