Mercoledì 24 Aprile 2024

"Roma un partner decisivo Ankara non può perderci"

L’analista Talbot: gli scambi commerciali con la Turchia valgono 18 miliardi "I migranti sono un’arma di pressione, ma attenzione anche alla rivalità in Libia"

Migration

di Andrea Bonzi

"Non credo che la Turchia – che registra un’inflazione galoppante ed è flagellata dal Covid – possa permettersi di attuare ritorsioni economiche contro l’Italia, uno dei suoi principali partner commerciali". Questa, in sintesi, la valutazione della professoressa Valeria Talbot, ricercatrice dell’Ispi ed esperta analista dell’area del Mediterraneo, che commenta così il day after delle dichiarazioni di Mario Draghi sul presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, definito "dittatore".

Professoressa Talbot, le parole del premier hanno innescato una crisi diplomatica. Voce dal sen fuggita o precisa strategia di Draghi?

"Il premier ha dimostrato di soppesare bene le parole che usa. Ha detto quello che tanti, a livello di opinione pubblica, pensano, guardando alle trasformazioni che la Turchia ha conosciuto in questi anni sotto la guida di Erdoğan".

A che cosa si riferisce?

"Al deterioramento dello Stato di diritto e del processo democratico, alla stretta su accademici e giornalisti critici verso il governo, alle accuse a diversi membri del partito curdo, il terzo nell’Assemblea nazionale, di sostenere il Pkk e di appoggiare il terrorismo. La preoccupazione in Europa c’è, al di là delle prime, prudenti, dichiarazioni".

Quali interessi ha il nostro Paese in Turchia?

"L’Italia è uno dei principali partner commerciali, siamo il terzo mercato per l’export turco, e il quinto Paese da cui la Turchia importa. Parliamo di 18 miliardi di valore dell’interscambio. Ci sono grosse aziende con una presenza radicata da molti anni: Pirelli, Ferrero, Barilla, Astaldi, Salini, Unicredit, Iveco (gruppo Fca), player di livello assoluto in tanti settori, dall’alimentare alla chimica e all’auto. Ma non mancano le Pmi, circa un migliaio".

È possibile un boicottaggio dei prodotti made in Italy?

"La fase di gelo diplomatico è sotto gli occhi di tutti. Ma le relazioni economiche spesso viaggiano su un altro binario. Inviterei poi a guardare la situazione più generale in cui versa la Turchia. La lira si è deprezzata nei confronti del dollaro, l’inflazione ha un trend di crescita del 16%, i vertici della Banca centrale turca sono stati cambiati già 4 volte dall’estate 2019, il che ha prodotto il crollo della fiducia degli investitori internazionali. Il tutto aggravato dalla pandemia. Non è nell’interesse della Turchia spingersi verso qualche azione più sostanziale, come un boicottaggio commerciale che aggraverebbe la situazione".

La Turchia controlla il flusso migratorio dal Mediterraneo Orientale: può diventare un’arma di pressione?

"Di fatto lo è già, avendo l’Ue delegato alla Turchia, con l’accordo del 2016, la gestione del flusso migranti, pagando con 6 miliardi (di cui già erogati oltre 4). L’Ue si è messa in una posizione di debolezza ed Erdoğan non ha esitato a usare la situazione come arma di pressione, minacciando di aprire le frontiere con la Grecia ai migranti dalla Siria, solo un anno fa".

E a livello di presenza fisica degli italiani in Turchia, penso ad esempio al turismo, potrebbero esserci ripercussioni?

"La Turchia è una destinazione importante per gli italiani: nel 2019 sono stati 377mila i turisti nostri connazionali che hanno soggiornato là. Per loro, però, si tratta solo di una piccola porzione, circa l’1% del totale delle presenze".

C’è un legame tra l’uscita di Draghi e la sua visita in Libia?

"Sarebbe interessante capirlo. Lo scenario libico è molto importante per l’Italia. Dall’altra parte, la Turchia è stata decisiva nel respingere l’offensiva su Tripoli del generale Haftar. Non è escluso che Draghi abbia voluto lanciare un messaggio per difendere i nostri interessi nel Mediterraneo".

Tutto è partito dal ‘sofa-gate’, con la von der Leyen in disparte. Un altro segnale della politica muscolare di Erdoğan?

"Non saprei dire se sia stato un errore di protocollo, ma agli occhi di noi europei è un gesto davvero poco elegante e una nota decisamente stonata. Il termine ‘umiliazione’ usato da Draghi mi sembra corretto. Erdoğan non è certo noto per essere un sostenitore dei diritti delle donne, ma quello che ne esce peggio forse è Michel".