Mercoledì 24 Aprile 2024

Rivolta contro il velo L’Iran massacra i manifestanti: 50 morti "Ci sono anche bimbi"

Cortei studenteschi nel mirino degli ayatollah, la denuncia di Amnesty. Le proteste per la 22enne morta dopo l’arresto della polizia morale. Il padre alla Bbc: "L’hanno ammazzata a forza di botte"

Migration

di Giovanni Rossi

Oltre 50 morti (tra cui quattro bambini) uccisi dai proiettili di Pasdaran, polizia in borghese e miliziani Basij. Amnesty International accusa l’Iran di massacro. Sparando "deliberatamente e illegalmente" ai manifestanti nei peggiori disordini da decenni. Un bilancio "probabilmente sottostimato". E poi decine di feriti. Almeno mille arrestati. La rete internet bloccata fino a nuovo ordine. Anche Starlink, immediatamente concessa da Elon Musk, subito messa al bando. L’Iran sceglie la violenza di Stato per stroncare le proteste che infiammano il paese dal giorno della morte di Mahsa Amini, sei giorni fa. Il decesso in ospedale della ragazza curdo-iraniana di 22 anni, bastonata a più riprese dalla polizia ’morale’ dopo l’arresto del 16 settembre per qualche ciocca di capelli sfuggita al velo islamico durante una vacanza nella capitale Teheran, innesca lo sdegno di studenti e progressisti. Una settimana di cortei, raduni e barricate. Lo scontro di civiltà chiama alla rivolta i giovani nella settimana di riapertura dei corsi universitari. Le ragazze scendono in piazza senza velo e si tagliano i capelli in favore di smartphone – imitate in tante capitali del mondo sotto le ambasciate iraniane – alzando al cielo foto di Mahsa, anzi, di Jinha, il suo vero nome curdo.

Risposta inaccettabile per gli ultraconservatori al potere che, dall’insediamento del neopresidente Ebrahim Raisi, nell’agosto 2021, trasformano sistematicamente ogni momento di contestazione nel pretesto per un’ulteriore stretta poliziesca in nome della teocrazia islamica: "739 rivoltosi, tra cui 60 donne" sono agli arresti – con tanto di comunicato – nella sola provincia di Guilan, uno spicchio sul Mar Caspio. Figurarsi il bilancio su scala nazionale (84 milioni di abitanti).

Nella consueta liturgia, il presidente Raisi rivendica il pugno di ferro contro "la rivolta" aizzata dall’Occidente. Preoccupati che la protesta possa diventare incontenibile, gli ayatollah agiscono su due livelli: ordinano il massimo della repressione nelle università e nelle piazze, e contemporaneamente mobilitano la parte più integralista della popolazione in contromanifestazioni a Teheran, Ahvaz, Isfahan, Qom e Tabriz, guidate da donne coperte dal capo ai piedi, "a condanna di cospiratori e sacrileghi". La morte di Mahsa? "Nessun pestaggio", è la recita del ministro dell’Interno Ahmad Vahidi: "Decesso per insufficienza cardiocircolatoria". "Falsità", denuncia alla Bbc Amjad Amini, il padre della ragazza, citando testimonianze sulle botte sia nella camionetta subito dopo l’arresto sia in centrale di polizia. Mahsa gli è stata mostrata già avvolta nel lenzuolo da sepoltura, visibili solo i piedi e il viso. "E c’erano lividi sui piedi. Ho chiesto ai dottori di esaminarli ma mi hanno ignorato, stanno tutti mentendo".

Il clima è questo, ogni dissenso stroncato: 35 i morti ufficiali tra cui alcuni agenti di polizia; non indicati i feriti; 11 i giornalisti agli arresti. E circa cento attori e registi, che avevano chiesto alla polizia di non sparare sui manifestanti, finiscono subito all’indice del ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico, con una particolare attenzione alle quote rosa: "Le attrici che hanno annunciato pubblicamente o sui social media di sostenere Amini non potranno più continuare la loro carriera nella recitazione", è la promessa di regime, mentre l’hashtag #Mahsa_Amini – già ritwittato più di 67 milioni di volte – lampeggia da sei giorni come una condanna planetaria.