Mercoledì 24 Aprile 2024

La giungla dei rider. Giovani, uomini e con poche tutele. Il flop delle regole

La maggior parte ha 30 anni, molti studenti ma anche stranieri. Quasi tutti lavorano a cottimo. E la riforma Orlando è congelata

Protesta rider in piazza Duomo a Milano (Imagoeconomica)

Protesta rider in piazza Duomo a Milano (Imagoeconomica)

Roma, 10 ottobre 2022 - Sentenze, direttive europee, accordi territoriali e regionali, proposte di legge, circolari, un contratto collettivo firmato, però, solo da due organizzazioni sindacali: niente da fare, per i circa 100mila rider le condizioni di lavoro restano insicure e precarie e le regole che presiedono al loro rapporto di lavoro somigliano a un’intricata e selvaggia giungla. Tant’è che a oggi continua a trionfare una situazione di deregulation di fatto rispetto agli standard delle norme Ue.

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Numeri in crescita

Dal 2020 a oggi i rider sono più che raddoppiati. Una prima stima è quella fornita da Assodelivery, l’associazione delle principali piattaforme operanti in Italia. Alla fine del 2021 in totale si contano 62.938 rider, con un numero di contratti raddoppiato rispetto al 2020, quando i lavoratori impiegati in questa attività erano circa 31.259. Un vero boom, con percentuali di aumento del 100 per cento. A questi vanno aggiunti i rider che hanno cominciato nel 2022 e quelli che lavorano per altre piattaforme non facenti capo all’organizzazione di categoria: nel complesso si raggiungono i 100mila ciclofattorini. Un conto, però, sono i lavoratori, un altro i contratti attivi: e in questo caso le cifre si dimezzano.

I rider, questi "conosciuti"

La maggior parte delle ricerche concorda nell’individuare il profilo dei rider: principalmente giovani, età media 30 anni; 8 su 10 uomini, principalmente studenti, ma anche stranieri; per 3 su 4 la collaborazione è integrativa rispetto a un’attività principale; lo svolgimento delle prestazioni è discontinuo; la maggior parte collabora per meno di 6 mesi. Guadagnano, secondo Assodelivery, un compenso minimo di circa 10 euro l’ora. Ma per il sindacato non solo si tratta di cifre massime, ma dentro ci sta tutto, anche le tasse e i contributi da pagarsi in proprio.

La giungla delle regole

Quel che è certo è che finora non si è arrivati a una disciplina uniforme. Una quota modesta svolge l’attività come prestazione occasionale (entro il limite di 5mila euro l’anno); un’altra fetta, la più rilevante, lavora con partita Iva o collaborazione continuativa (sul modello del vecchio co.co.co.); una parte residuale ha un contratto di lavoro subordinato. Nei primi due casi, il lavoro è praticamente a cottimo, senza tutele (se non minime per la sicurezza) né diritti: ferie, tredicesima, riposi, straordinari, fissi mensili o settimanali.

Sentenze sì, ma niente leggi

La direttiva Ue in materia è del dicembre 2021 e ha indicato nel lavoro dipendente la formula da usare. In Italia ha tentato di tradurla in pratica il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, con una proposta di legge sul lavoro per le piattaforme digitali: nel testo si stabilisce una presunzione di subordinazione in presenza di alcuni parametri. Ma questa iniziativa, con la caduta del governo, si è fermata. Così l’ultimo intervento normativo diretto rimane il decreto Dignità: un intervento che ha obbligato le parti a trovare un accordo. Un primo contratto collettivo è arrivato, tra Assodelivery e Ugl, ma non contempla la subordinazione.

Nessun passo avanti, invece, sul contratto collettivo con i sindacati confederali: Cgil e Uil puntano sulla riconduzione del meccanismo a lavoro dipendente e al contratto della logistica. Da lì non ci si è più mossi: gli interventi successivi sono stati amministrativi e della giurisprudenza, che ha iniziato a sanzionare le società per i contratti occasionali e di collaborazione e per la salute e sicurezza, trasformando i rapporti in lavoro dipendente. A quel punto si è rotto il fronte di Assodelivery ed è uscita Just Eat, che ha provato a seguire la via della subordinazione. Nell’attesa, le società massimizzano il loro modello, che non è illegale, benché contestato; il sindacato non cede rispetto a subordinazione e logistica; e i rider continuano a restare senza tutele certe.