Mercoledì 24 Aprile 2024

"Mino Raiola morto". Ma arriva la smentita. L’agente dei campioni è gravissimo

È ricoverato al San Raffaele di Milano, Ibrahimovic corre da lui. In mattinata le false voci sul decesso

Mino Raiola (Ansa)

Mino Raiola (Ansa)

"Un quart d’heure avant sa mort, il était encore en vie". Lapalissianamente, in caso di incertezza e a costo di sembrare ridicoli, dovremmo ricorrere alla canzoncina francese dedicata a Jacques Chabannes, signore de La Palice: un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo. Viviamo nel pleonasmo e nella tautologia, una scempiaggine in più non ci renderebbe peggiori che continuare a dare per defunto chi ancora non lo è.

Lo abbiamo rifatto con Mino Raiola, in gravi condizioni al San Raffaele di Milano dopo un’operazione d’urgenza a gennaio, ma ancora in prima linea sul fronte dei vivi. È morto, anzi no. La prova? Portata dal professor Alberto Zangrillo, che in qualità di rianimatore può dire l’ultima parola. Seguita da una replica su Twitter in pieno stile Raiola: "Stato di salute attuale per chi se lo chiede: incazzato. Mi uccidono per la seconda volta in 4 mesi. Sembro anche in grado di resuscitare". Incazzato è poco. Con i giornali, il web, i menagramo. Porta male annunciare un non decesso? All’interessato no, infatti c’è chi conserva il senso dell’umorismo e anzi se ne giova. Tutti gli altri, insomma: dovrebbero ricordare cosa si prova sul necrologio di un omonimo pianto da famiglia sconosciuta, ma preciso a chi legge nel nome e nel cognome. Per cui si dovrebbe tenere in mano la notizia di una morte come un pentolino bollente senza lasciarlo cadere, evitando gli schizzi.

Invece vince l’urgenza di essere i primi e più grosso è il nome più scarsa diventa la capacità di contenersi, come nelle ore in cui il punto interrogativo è su un Agnelli o un Papa e i direttori dei giornali nel dubbio invecchiano di dieci anni. Dare incautamente del morto a qualcuno forse ci rende più vivi. Di sicuro non ha conseguenze penali perché non c’è alcuna legge che metta in riga chi tumula a vanvera gente ancora fra noi. È rimasto memorabile Tommaso Besozzi sul numero 29 dell’Europeo del 1950. Pubblicava un’inchiesta sull’uccisione del bandito Giuliano freddato non dai carabinieri ma dall’amico Pisciotta, l’attacco del pezzo resta un gioiello di etica e stile: "Di sicuro c’è solo che è morto". Noi nemmeno quello. L’anno scorso abbiamo fatto morire in anticipo Fausto Gresini e arrabbiare il figlio Lorenzo: "Voglio ringraziare la stampa che ha avuto così tanto tatto nel divulgare una notizia non verificata, siete proprio avvoltoi. Il mio grande babbo sta molto male ma il suo giorno non sarà oggi". Fu il giorno dopo. Ma dicono che il pilota, ripresosi dalla notizia, ci abbia riso sopra prima di andarsene davvero.

Il clima non disteso della pandemia ha fatto danni anche sulle spoglie incerte del professor Luc Montagnier: spentosi pacificamente alla presenza dei figli sul sito ufficiale di una testata francese, anzi assolutamente vivo secondo il suo entourage, infine proprio andato al punto da spingere la scienziata amica Alexandra Henrion-Caude a invocare il lutto nazionale.

Morire dovrebbe essere una cosa evidente, una delle poche senza sfumature. Monica Vitti lo ha fatto tre volte. Uscita di scena a febbraio, nel 2016 è stata pianta dai 300 mila follower di una blogger sconsiderata. Ma nel 1988 fu addirittura Le Monde ad annunciarne il decesso. Lei presa la cosa con leggerezza e ringraziò il quotidiano francese di averle allungato la vita, come poi effettivamente è successo.