Mercoledì 24 Aprile 2024

Politica estera mai importante come adesso

Raffaele

Marmo

Mai, se non nel 1948, la politica estera ha avuto un ruolo-chiave in campagna elettorale come quello che sta avendo e avrà in queste settimane. E le parole di Mario Draghi al Meeting hanno il puntuale intento di segnalare, da un lato, il raggiungimento di una cornice repubblicana condivisa, tale da non far correre al Paese il rischio di avventurismi o di velleitarismi, "qualunque sia il governo che verrà". E, dall’altro, quello di fissare le coordinate basilari comuni della nostra proiezione internazionale: atlantismo, sostegno all’Ucraina, orizzonte europeo, senza protezionismi o isolazionismi, perché "l’Italia quando fa da sola non è mai stata forte".

E’ in questo quadro e secondo questi criteri che si misura la tenuta e l’affidabilità delle coalizioni e delle forze in campo. Una tenuta e una affidabilità che vede, oltre che nel terzo polo di Carlo Calenda, principalmente in Giorgia Meloni e in Enrico Letta i pilastri e i garanti, per i due campi contrapposti, dei paletti posti dall’ex numero uno della Bce. E in questo senso, quella di Draghi, è una sorta di legittimazione data alla stessa leader di Fratelli d’Italia nell’ipotesi in cui dovesse essere lei il futuro premier.

La Meloni è stata all’opposizione dell’esecutivo di responsabilità nazionale, ma sulla politica estera e, dunque, sul sostegno all’Ucraina, sul rapporto con gli Usa e la Nato, sulla diffidenza verso la Cina, è stata più "draghiana" di primari leader della maggioranza, come Matteo Salvini e Giuseppe Conte.

Ma alla Meloni non tocca solo il favore di Draghi per il ruolo fin qui svolto: a lei spetterà, nel caso, assicurare che le divagazioni salviniane sulle sanzioni alla Russia o qualche fuga in avanti dello stesso Silvio Berlusconi restino nell’alveo della propaganda e non si traducano in deviazioni dall’atlantismo o in allentamenti del sostegno all’Ucraina.