Mercoledì 24 Aprile 2024

Pd senza pace: i big se ne vanno Anche Minniti saluta Zingaretti

L’ex ministro lascia il partito per un incarico in Leonardo. Prima di lui le defezioni pesanti di Martina e Padoan

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di Ettore Maria Colombo

Se ne stanno andando via dal Pd come dieci piccoli indiani. Come se il Pd fosse una barca che affonda e da cui urge fuggire il più velocemente possibile. In effetti, il Pd naviga in pessime acque e ogni giorno riceve un altro schiaffo. Ieri, per dire, come si è sparsa la notizia che Zingaretti pensa di ‘aprire’ ai 5 Stelle la (sua) giunta regionale del Lazio, s’è scatenato un finimondo, con relativa coda di polemiche.

In attesa che il Pd affondi, alcuni ‘topoloni’, però, già scappano. Per primo venne Pier Carlo Padoan. Già dalemiano di ferro poi autonomo, abituato da tempo ai prestigiosi e ben remunerati incarichi (Fmi prima, poi Ocse), ministro all’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, Padoan è fuggito per il cda di Unicredit. Di certo, avrà retribuzioni ben superiori ai 12mila euro mensili che prende da deputato, forse più vicine ai 210mila euro che prendeva all’Ocse. Padoan lascia libero un seggio uninominale, quello di Siena, su cui hanno messo gli occhi in parecchi – in testa a tutti l’ex premier Conte – per poter entrare in Parlamento, in quanto trattasi di seggio blindato. Il che ha provocato una guerra dei ‘lunghi coltelli’, dentro il Pd perché la segretaria regionale, Simona Bonafè ha detto ai romani: "Dei candidati in Toscana discutono i toscani".

Poi Maurizio Martina, trasmigrato da Palazzo Montecitorio al Palazzo della Fao con vista Circo Massimo, come vicedirettore generale. Eletto in un collegio plurinominale, ma testa di lista (altro seggio blindato), anche per il suo caso si sono sentiti molti altri bofonchiamenti. Martina è ex segretario (reggente) del Pd, vicesegretario, candidato (perdente) alla segreteria. Aveva pure una sua corrente, ‘Sinistra è cambiamento’, che si è liquefatta, tranne resti ereditati dal capogruppo alla Camera, Delrio. Martina, certo, non scappa per un incarico privato, ma per il pubblico. Si occuperà di fame nel mondo, roba seria. A differenza di Veltroni, Martina – in Africa e in altre terre – ci andrà spesso.

Ieri, però, ecco che arriva l’ultimo colpo, quello micidiale. Marco Minniti – storicamente noto perché uno dei ‘Lothar’ di D’Alema (gli altri erano Velardi e Rondolino: diventati tutti ex) – roccioso ex ministro dell’Interno nel governo Gentiloni, un altro miracolato da una pluri-candidatura nel proporzionale (Campania 2) – lascia la Camera, scriveva ieri la Repubblica. E lo fa per guidare la fondazione "Med-Or" all’interno dell’azienda Leonardo. Ex Finmeccanica, Leonardo è "un’azienda a partecipazione pubblica che opera nei settori di difesa, aerospazio e sicurezza" dice la brochure. Il cda di Leonardo, il cui ad è Alessandro Profumo, ha deciso di costituire "una fondazione per lo sviluppo dei rapporti con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente". E chi meglio di Minniti, che le tribù libiche le conosce come le sue tasche? E poco importa per il collegio, scatta il secondo in lista. Insomma, sempre al Pd, resta.

Resta, però, pure l’amaro in bocca di molti deputati e senatori democrat. Patrizia Prestipino – deputata dem, romana, tipa tosta, esponente di Base riformista, una che, relegata in un collegio uninominale (Roma Eur), nel 2018, lo ha vinto con 51mila voti (l’unico collegio ‘a Sud di Roma’ vinto dal Pd) – la mette così: "Questo esodo di nostri parlamentari non è un bello spettacolo. Come se oggi il Parlamento non fosse più un punto di arrivo, ma per andare altrove. Mi rattrista. Per me, sedere alla Camera dei deputati, era un sogno". Un sogno che, ormai, almeno nel Pd, pare diventato un incubo.