Mercoledì 24 Aprile 2024

Pd nel caos, tutti chiedono il congresso Gli scontenti ora guardano a Bonaccini

La sfida forse in autunno sarà con Zingaretti oppure con Orlando. Il segretario dem: lo faremo, ma prima pensiamo a Draghi

di Ettore Maria Colombo

"Congresso! Congresso!", chiedono tutte le aree del Pd: da Base riformista ai Giovani turchi, dai ‘cani sciolti’ come il capogruppo al Senato Marcucci, accusato di filo-renzismo dal Nazareno, fino a una nutrita pattuglia di amministratori locali. E proprio sindaci di peso e di fama come Dario Nardella (Firenze), Giorgio Gori (Bergamo), Antonio Decaro (Bari) – casualmente tutti esponenti della ‘destra’ interna, quella di Base riformista, e nuova, ‘spina dorsale’ del partito – avrebbero individuato il loro ‘campione’ in Stefano Bonaccini per sfidare Zingaretti o, se non va al governo, il suo attuale vicesegretario Andrea Orlando. Orlando che, oggi, è forte e radicato in mezz’Italia quasi quanto, se non più, lo stesso segretario, e che già che c’è fa notare al Qn che "mi sono rotto le scatole delle polpette avvelenate: la nota anonima sull’appoggio esterno del Pd a Draghi non viene da me. Non ne ho mai parlato e non la penso certo così su Draghi".

Ma tornando al governatore Bonaccini, molti dem dubitano che ‘Bonaccia’ si voglia davvero lanciare come outsider. Eppure, Bonaccini esce sempre vincente da tutte le prove e le competizioni, elettorali e politiche. Trionfatore alle regionali, dal solido profilo riformista, sul suo nome convergerebbero molti big di molte aree dem. La disfida che si profila è cioè quella tra ‘Zinga’ e ‘Bonaccia’ oppure, se Zingaretti si ritirasse, ‘Bonaccini vs Orlando’.

Non che il congresso, con un governo ancora tutto da fare e costruire, sia il solo rovello che toglie il sonno, in casa Pd. L’ultima posizione conosciuta vede attestati tutti i big dem, da Guerini a Orlando, che è come dire dallo zenit al nadir, su questa linea: "Meglio un governo con tutti tecnici, magari tecnici d’area, come fu per il governo Dini, più che per il governo Ciampi, e dunque meglio del governo Monti, che non un governo con ministri politici tutti riconoscibili, come fu con Nenni e Togliatti nei governi di De Gasperi". Al netto del fatto che, nel Pd, di ‘Nenni e Togliatti’, in giro, proprio non se ne vedono, il sacro terrore – che attanaglia molti ministri uscenti – è di vedersi non solo sfilare il posto, ma pure ‘fregare’ dai capi delle correnti a loro avversarie. Ecco perché – da Orlando a Guerini a Franceschini – tutti si attestano sulla linea ‘governo di nessuno’ (cioè di tecnici) e fanno capire di non volere il ‘governo di tutti’ (di politici).

Ma sul governo decide Draghi, insieme a Mattarella, non certo il Pd. Invece, almeno sul congresso, ci si può sfidare. Ieri, come in una batteria di uscite ‘a freddo’, cioè decise a tavolino, sono usciti, sul tema ‘bisogna fare il congresso’, il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, il leader dei Giovani Turchi, Matteo Orfini, e ben due coordinatori di Base riformista, Andrea Romano e Alessandro Alfieri. Manca, all’appello, solo la voce, ora afona, di Franceschini.

E il segretario, come reagisce? "Faremo il congresso anticipato, non appena sarà chiuso il capitolo del governo" è costretto a concedere, seppur in modo cauto, Zingaretti. Zingaretti il congresso del 2019 lo vinse in modo schiacciante (gli avversari erano Maurizio Martina, ora alla Fao, e Roberto Giachetti, che ha seguito Renzi in Iv) ma, politicamente, trattasi di un’era geologica assai remota. Ma – avverte – "spero che nessuno voglia rimettere indietro le lancette dell’orologio". Traduzione: far rientrare Renzi.