Mercoledì 24 Aprile 2024

Ora però basta smart working Meglio l’ufficio

Giuseppe

Turani

Il cappuccino al bar, con brioche, è tipicamente milanese come la torta di mele lo è per gli americani. In questi giorni di smart working se ne sono consumati pochi perché nessuno andava in giro. Ma è inevitabile che si torni al lavoro. In questo il sindaco Sala ha ragione. Milano è una strana città: è grande, è considerata il cuore dell’Italia che lavora, ma non produce assolutamente niente, nemmeno un chiodo. È una città di uffici: fax che vanno e vengono, circolari, direttive.

Si è provato a fare funzionare tutto da casa, con il telefono, e ci si è anche riusciti, in parte. Ma una città di uffici ha bisogno che negli uffici ci sia gente, idee che corrono, scambi di pareri, segretarie che magari portano il caffè, ma che soprattutto ricordano gli impegni (al mio primo impiego milanese ne avevo mezza, una in due).

C’è chi sostiene che dallo smart working non si tornerà più indietro. Ma è un errore. La “cultura” milanese è una cosa che nasce negli uffici. E senza quella cultura Milano non ha più senso. I milanesi amano, poi, stare in ufficio. Ricordo i primi anni Settanta alla Sit-Siemens: le Brigate rosse (erano nate proprio lì), rapimenti, qualche ferito. Ma tutte le mattine, tutti ai loro posti. Nessun eroe. Semplicemente milanesi, impiegati. Alla mattina si va in ufficio, e dove altrimenti?

Nel giro di pochi giorni, quindi, rivedremo i milanesi dietro le loro scrivanie, dopo aver preso il regolare cappuccino al bar. Non è vero che Milano non si ferma, si è fermata e anche in fretta.

Ma adesso è ora di ripartire e la città lo farà nell’unico modo che conosce e che in fondo le piace: andando in ufficio, come ha sempre fatto. Persino dopo le bombe di piazza Fontana.

La “normalità” di Milano sono la gente in ufficio a sbrigare le proprie incombenze. E, dopo questo tornado del Covid, c’è un gran voglia di normalità, di ricerca e ritrovamento della vita di prima.