Venerdì 26 Aprile 2024

"Non sono loro i killer di Malcom X" Scagionati a 56 anni dal delitto

Hanno passato decine di anni in cella e uno è morto. Il giudice: gravi errori da parte di polizia e Fbi

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di Giampaolo Pioli

La verità a 56 anni dal delitto. Dopo un’inchiesta, nuova, durata 22 mesi. Un giudice di New York oggi stabilirà che due (dei tre) uomini accusati dell’omicidio di Malcolm X (avvenuto ad Harlem in un freddo 21 febbraio del 1965) sono rimasti in carcere ingiustamente per decine di anni: non sono stati loro ad assassinare il grande leader degli afroamericani.

Il clamoroso annuncio che emerge da questa nuova indagine riaperta dal procuratore generale di New York Cyrus Vance jr non indica chi furono effettivamente i tre uomini che spararono a Malcolm X, ma scagiona completamente Norman 3X Butler (conosciuto come Muhammad A. Aziz che oggi ha 83 anni e che è uscito di prigione nel 1985) e Thomas 15X Johnson (conosciuto come Khalil Islam, rilasciato nel 1987 e morto nel 2009) che hanno sempre sostenuto la loro innocenza. Inutilmente. Pesanti, invece, anche i sospetti sui comportamenti poco limpidi della polizia di New York e degli agenti dell’Fbi che non hanno mai rivelato durante il dibattimento che nell’aula dove Malcom X è stato assassinato, era presente anche un agente in borghese infiltrato per capire chi tirava le fila del movimento del "potere nero" . Tutti spariti o morti così come si sono polverizzate le armi del delitto. Pur essendo un sorvegliato speciale in quanto considerato un agitatore, l’inchiesta di Vance anticipata dal New York Times non chiarisce se ci sia stato o meno un complotto anche fra la gente di colore per eliminare Malcolm X, ma il procuratore generale chiede scusa per il comportamento della polizia di New York perché di fatto non ha fornito tutte le prove che aveva a disposizione- "Quegli uomini – dice Vance – non hanno avuto un trattamento giusto, anche se è tardi per rimediare. Se le nuove prove fossero uscite prima, forse Norman Butler e Thomas Johnson non sarebbero mai stati condannati e il delitto non sarebbe mai stato risolto. Di fatto non lo è nemmeno adesso e l’assassinio di Malcolm X rimane una delle pagine più nere della storia recente newyorkese.

Durante la nuova inchiesta gli investigatori hanno interrogato uno dei pochi testimoni viventi dell’assassinio che va sotto il nome di J.M., il quale avrebbe sostenuto la tesi dell’innocenza dei due condannati sostenendo addirittura che uno di loro non era nemmeno presente all’ultimo discorso di Malcolm X (che non è mai riuscito a pronunciare).

La veloce scalata al potere del leader afroamericano che propagandava la nazione dell’Islam diventando uno dei più radicali quasi in contrapposizione con la più pacata filosofia di Martin Luther King è sempre stata avvolta dal mito e dal mistero. Di sicuro, adesso che con Black Lives Matter l’esasperazione dei giovani di colore si è spostata nelle strade soprattutto dopo l’uccisione di George Floyd per colpa di un agente di polizia a Minneapolis, scoprire che la componente razziale non ha mai lasciato il tessuto della società Usa, ma anzi si è irrobustita nel periodo trumpiano, è un tema destinato ad aprire nuove ferite anche nella New York che sta per inaugurare una nuova stagione con un sindaco di colore. Il 20 febbraio la famiglia di Malcom durante una conferenza nello stesso Auditorium dove venne ucciso rivelò che Raimond Wood (poliziotto di colore “Undercover”) aveva orchestrato la finta accusa verso due guardie del corpo di Malcom per allontanarle da lui il giorno in cui venne assassinato. Wood scrisse una lettera al cugino facendolo giurare di renderla pubblica solo dopo il suo decesso. Si diceva che l’Fbi era coinvolta in questa messa fuori gioco delle guardie del corpo. Ma gli assassini? Il mistero continua.