Venerdì 26 Aprile 2024

Neonata scambiata in culla nel 1989: sarà risarcita con un milione di euro

Puglia: a lei andranno 500mila euro, gli altri soldi alla famiglia. La scoperta nel 2012, guardando alcune foto su Facebook

Neonati in culla

Neonati in culla

Due bambine scambiate in culla nel 1989. Dieci anni fa la scoperta, guardando delle foto su Facebook e notando una somiglianza incredibile tra due donne che non avevano alcun legame di parentela. Quindi, l’esame del Dna che conferma i sospetti: Antonella e Lorena non erano state consegnate alle loro mamme biologiche, ma scambiate in culla nella nursery dell’ospedale. Poggia su questi elementi la sentenza del Tribunale civile di Trani che ha riconosciuto un risarcimento dei danni di circa un milione di euro ad una donna di 33 anni e alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello), a cui per 23 anni sono stati negati gli affetti familiari a causa dello scambio di due neonate in culla nell’ospedale di Canosa di Puglia. A pagare – hanno stabilito i giudici – dovrà essere la Regione Puglia.

Cosa è successo: la storia

Il 22 giugno 1989 Caterina torna a casa dall'ospedale di Canosa con la piccola Lorena. Non sa che la sua vera figlia è finita in un'altra famiglia e ora si chiama Antonella. Nel 2012, guardando alcune foto su Facebook, Caterina e Antonella notano la loro straordinaria somiglianza, l'anno successivo il test del dna conferma: sono madre e figlia. 

Parte così il percorso legale di Antonella e dei veri genitori per ottenere il risarcimento. Secondo la sentenza di Trani a Caterina spettano 215mila euro, così come al marito, mentre 81mila euro vanno all'altro figlio. Ad Antonella, la Regione Puglia pagherà circa mezzo milione (a fronte di una richiesta di tre): la madre (o meglio: quella che si pensava fosse la madre) l'ha abbandonata da piccola, il padre l'ha maltrattata al punto da farla finire in orfanotrofio e poi in adozione.

A risarcire sarà la Regione, mentre nei confronti delle Asl Bari e Bat, citate in giudizio, è stato escluso qualsiasi coinvolgimento: all'epoca dei fatti, l'ospedale di Canosa dipendeva dall'amministrazione regionale. Nel procedimento è stato accertato che alle due bambine non furono applicati i braccialettini di riconoscimento.