Venerdì 26 Aprile 2024

Navi e aerei alla Colombia Indagati D’Alema e Profumo

All’ex premier, al manager ex Leonardo e ad altri contestata la corruzione internazionale aggravata. Inchiesta a Napoli sulla trattativa (poi sfumata) col Paese sudamericano per una commessa da 4 miliardi.

di Nino Femiani

L’ex premier Massimo D’Alema e il manager Alessandro Profumo, ex ceo di Leonardo, sono indagati per la trattativa sulla vendita di navi, sommergibili e aerei alla Colombia, affare miliardario peraltro sfumato, ma finito in un fascicolo della Procura di Napoli. I pm ieri hanno disposto la perquisizione delle abitazioni e degli uffici dei due, oltre a controlli nelle case di altri due indagati eccellenti: Giuseppe Giordo, ex direttore del settore Navi di Fincantieri, e il ragionier Gherardo Gardo, commercialista vicino a D’Alema.

In totale gli indagati sono otto. D’Alema si è mostrato collaborativo quando, alle 9 di ieri, gli agenti della Digos di Napoli hanno bussato alla porta della Fondazione "Italianieuropei" di piazza Farnese, nel cuore della Capitale. "Il presidente D’Alema ha fornito la massima collaborazione all’autorità giudiziaria. Siamo certi che sarà dimostrata la più assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato a suo carico", commenta l’avvocato Gianluca Luongo, legale dell’ex premier.

Il reato principale è di corruzione internazionale aggravata. Secondo l’accusa, gli indagati si sarebbero "adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti di aziende italiane a partecipazione pubblica al fine di ottenere da parte delle autorità colombiane la conclusione degli accordi formali e definitivi aventi ad oggetto le descritte forniture e il cui complessivo valore economico ammontava a oltre 4 miliardi di euro". A margine di quest’attività c’era da spartire un tesoretto di 80 milioni da distribuire ai “facilitatori“ italiani e colombiani (alcuni di alto profilo, come Marta Lucia Ramirez, ex vicepresidente della Colombia). Tra l’altro anche il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha chiesto alla procura del suo Paese di avviare un’inchiesta.

L’inchiesta è partita quasi per caso, nel gennaio 2022, dopo una denuncia dell’Apm, l’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, per l’esibizione, da parte del broker pugliese, Emanuele Caruso, di falsi documenti dell’organizzazione internazionale. Un "passepartout" per aprire le porte del governo colombiano. La vicenda si è poi allargata fino a coinvolgere D’Alema. Secondo l’accusa, l’ex premier, proprio grazie al suo curriculum, sarebbe riuscito a fare da "mediatore formale nei rapporti con i vertici delle società italiane". La voce del "lìder maximo" è, peraltro, finita in una registrazione in cui lo si sente rabbonire degli interlocutori che pretendevano subito dei rimborsi spesa per le attività che stavano svolgendo: "Siamo convinti che alla fine tutti noi riceveremo 80 milioni di euro. Quindi si può fare un investimento perché l’obiettivo non è quello di avere 10mila euro per pagare un viaggio adesso ma è, alla fine, di avere un premio di 80 milioni. Questa è la posta in gioco. Non appena avremo questi contratti, noi divideremo tutto, sarà diviso tutto, questo non è un problema".

L’ex presidente del Consiglio, intervistato lo scorso marzo da Repubblica, si dichiara del tutto estraneo a quello che alcuni hanno già definito il "Columbia-gate": "Io non ho alcun rapporto di lavoro né con Fincantieri né con Leonardo e non trattavo per conto di nessuno. Il mio lavoro è quello di consulenza strategica, non sono uno che va a fare mediazione di vendita". Rispetto agli 80 milioni “da dividere“, chiarisce: "Dovevo convincere un interlocutore riluttante e convincerlo naturalmente a fare una scelta nell’interesse dell’Italia e non della mia persona. In questa vicenda, ripeto, non ho contratti con nessuno".