Mercoledì 24 Aprile 2024

Morsut, dalla pallavolo alla scienza "Ora negli Usa gioco con le cellule"

Ex giocatore della Nazionale, dirige un laboratorio in California. "Un progetto da 2,5 milioni su organi e staminali"

Migration

di Doriano

Rabotti

Leo Morsut, da campione di volley a scienziato di livello mondiale alla guida di un progetto da 2,5 milioni di dollari. Di che cosa si tratta?

"È un finanziamento da parte dell’Istituto Nazionale della Sanità americano per ricerche sulla medicina rigenerativa, sulle cellule staminali. Studiamo la tecnologia che permette di controllare lo sviluppo delle cellule che saranno usate per le terapie".

In che modo?

"Il campo è quello della biologia sintetica, l’approccio è più ingegneristico: lavoriamo sui circuiti che controllano il comportamento delle cellule. Sono circuiti fatti di Dna, quindi biologici, ma non nativi delle cellule, sono disegnati da noi".

Lei adesso ha un suo laboratorio, in California.

"Sì, il Morsut Lab. Sono arrivato negli Stati Uniti nel 2012, prima a San Francisco per un periodo di training post-dottorale in biologia sintetica, dopo il dottorato a Padova. Poi mi hanno preso come assistant professor all’Università della California. Ora vivo a Pasadena con la famiglia".

Quale risultato si aspettano i suoi finanziatori?

"Non ci viene richiesto un output specifico, dovremo fare ricerca e produrre pubblicazioni, ma non ci vincolano ed è molto importante in un campo innovativo che spesso propone strade impreviste".

Le possibili applicazioni concrete?

"Ormai con le staminali derivate da un tessuto si possono costruire rudimenti di organo chiamati organoidi. Per esempio si possono realizzare parti di fegato, reni, cervello. Per ora non sono paragonabili agli organi veri, ma un giorno ci potremo arrivare. Quando studiavo, un traguardo del genere sembrava roba da fumetti, oggi è un obiettivo su cui si può fare ricerca".

Volete produrre organi per trapianti?

"Sul lungo termine l’idea può anche essere quella, ma non sappiamo quanto tempo ci vorrà. Adesso puntiamo a organi abbastanza robusti e con funzionalità aggiuntive che permettano di sostenere la fase di screening dell’effetto dei farmaci. Si possono utilizzare le cellule del paziente per scegliere il farmaco migliore per lui. In Olanda qualcuno lo fa già, in base alla risposta dell’organoide".

Altre potenziali applicazioni?

"Un altro ambito è quello delle malattie degenerative come il diabete, studiando il modo in cui alcuni animali rigenerano la coda si può sperare di capire perché le cellule invece che rigenerarsi, degenerino".

Somiglia molto a quello che faceva il dottor Lizard, uno dei nemici dell’Uomo Ragno...

"Non ho frequentato molto i fumetti, ma ogni tanto qualcuno mi cita un personaggio che fa quello che proviamo noi".

Morsut, lei si sente un cervello in fuga o un emigrante?

"È una cosa strana, ormai ho un’identità fluida, non sono del tutto americano e neanche più solo italiano...anche se quando penso a dove mi sento a casa, ormai è qui a Pasadena. Negli Stati Uniti sono nati i miei figli, Gabriele che ha 7 anni e Aurora che ne ha tre e mezzo".

Sua moglie invece è italiana.

"Sì, stiamo insieme dai tempi delle superiori. È una storica dell’arte al museo Huntington".

Non c’era modo di arrivare a questi livelli in Italia?

"Beh, è come quando giocavo a pallavolo, e ho avuto la fortuna di vedere da vicino l’amico Michele Pasinato, che ci ha appena lasciati. In Italia venivano gli stranieri più forti perché è il campionato più bello del mondo. Se vuoi i laboratori migliori, devi venire negli Stati Uniti".

Pensa di tornare un giorno?

"Non lo so, al momento non è una priorità. Tra quattro anni saprò se avrò la cattedra, poi vedremo".

Scienziato, ex azzurro di volley, anche eccellente pianista. Come vivono tre talenti così nella stessa persona?

"Non saprei rispondere, posso solo dire che non sono mai riuscito a fare solo una cosa per volta. Quando ho smesso di giocare, per tenermi in forma mi sono dedicato al canottaggio e ho vinto il campionato italiano. Non ho rimpianti per aver lasciato la carriera sportiva quando ero al top: fin da bambino ho sempre sognato di fare lo scienziato. Ma lo sport mi ha aiutato".

In che cosa?

"Quando si arriva vicini a un risultato, anche nella scienza, serve un cambio di passo. Saper lavorare di squadra e affrontare i momenti delicati di una partita mi ha dato forza. Ora mi sto interessando all’intelligenza emotiva, con l’aiuto di esperti. Ormai il lavoro in laboratorio lo fanno altri, che io devo organizzare: è come se da giocatore fossi dovuto diventare allenatore".