Mercoledì 24 Aprile 2024

Mattarella e il sacrificio di Falcone "Osteggiato anche dai magistrati"

Il Capo dello Stato a trent’anni dalla strage: "Grazie a lui e a Borsellino colpi durissimi alla mafia"

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di Ettore Colombo

Nel commemorare trent’anni dopo, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta uccisi nella strage di Capaci, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che non a caso è anche presidente del Csm, l’organo di autogoverno della magistratura, non dimentica di fare – con i suoi modi e i suoi toni istituzionali – un passaggio importante per ricordare che Falcone (e, con lui, Borsellino) furono "lasciati soli" non solo dalla classe politica e dalla società, ma anche dalla magistratura italiana. Infatti, parlando del "nuovo metodo d’indagine, fondato sulla condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli" che "consentì di raggiungere risultati giudiziari inediti, ancorati ad attività istruttorie che poggiavano su una piena solidità probatoria", Mattarella definisce quella di Falcone una "visione profetica" che – e qui si sente l’amarezza nelle parole del Capo dello Stato – "non fu sempre compresa; anzi in taluni casi venne osteggiata anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura, che col tempo, superando errori, ha saputo farne patrimonio comune e valorizzarle".

Insomma, solo la sua morte – e la eredità giudiziaria, politica e morale di Falcone, scalzato dalla carica di procuratore capo di Palermo perché, pur avendone tutti i titoli, gli fu preferito un magistrato solo più anziano di lui – ha portato a modificare l’ordinamento giudiziario "per attribuire – nota oggi Mattarella – un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità, non idoneo a rispondere alle esigenze dell’Ordine giudiziario". Quel criterio della competenza, e non dell’anzianità, che Falcone chiedeva anche nella superprocura e che, anche grazie al suo impegno, permise – ma solo dopo la sua morte – l’approvazione di leggi decisive per rendere più incisiva la lotta alla mafia.

Anche di questo ha parlato il Capo dello Stato alla grande celebrazione ufficiale (ma molte ce ne sono state ieri, come all’albero Falcone, davanti un fiume di gente, con Gianni Morandi, e altrove) che si è tenuta, davanti a mille ragazzi e mille lenzuoli, al Foro Italico, alla presenza delle massime cariche dello Stato dal Presidente della Repubblica, dei ministri dell’Interno Lamorgese, della Giustizia Cartabia, degli Esteri Di Maio, dell’Università Messa, dell’Istruzione Bianchi, del capo della polizia Giannini e di molti magistrati. Mattarella si fa ‘storico dell’istante’. Ricorda "il silenzio assordante dopo l’inaudito boato" che "rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese".

Una ferita profonda che cambiò il corso della storia patria. Il Presidente, trent’anni dopo, può dire con ragione che "al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle Istituzioni democratiche", ma usando "la forza degli strumenti dello Stato di diritto" mentre "la società civile non accettò di subire in silenzio quella umiliazione contribuendo al rinnovamento del Paese". Oggi dunque, ammonisce Mattarella, deve essere chiaro che "l’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni".