Venerdì 26 Aprile 2024

Mai più quel metro di distanza

Davide

Rondoni

E ora come faremo? Abituati al metro di distanza nei luoghi di cultura (poco importa se quella misura scompariva in spiagge e altri luoghi ameni) ora che l’han tolto, come ci comporteremo? Saremo guardinghi, sospettosi, guarderemo lo spettatore o il visitatore accanto in che modo? Le norme imposte per la pandemia hanno penalizzato in modo particolare i luoghi della cultura, proprio i luoghi dove gli esseri umani si interrogano sul senso delle cose, delle vicende storiche e interiori. Musei semideserti, teatri con platee spettrali, cinema per pochi avventurosi saranno dunque un ricordo? Speriamo, perché un popolo che non può stare insieme (a fare cultura e a viverla è un popolo di sudditi. Ma quanto pagheremo tutto questo? Ci lasceremo alle spalle quella orribile parola "assembramento" (quasi da bestie, da branco – e le parole mai sono casuali nella narrazione pubblica) che motivava la distanza, imposta in modo spesso più che zelante da ringalluzziti guardiani, servizi d’ordine e varia umanità, specialmente in luoghi di pensiero, di culto, di interrogazione? O resterà un disagio, una diversa prossimità, il venticello maledetto del sospetto?

La disabitudine a stare insieme, a partecipare a appuntamenti culturali, già si è evidenziata in questi mesi, nonostante tutti gli indicatori ponessero tra i più sicuri i luoghi culturali. Da un lato la necessità di norme complicate di prenotazione, risposta eccetera, poi l’assenza percepita di una vera comunità di partecipanti e dall’altro la migrazione potente e economicamente significativa (per i player dell’online, arricchitisi a dismisura) della fruizione di contenuti culturali in rete, hanno di certo intaccato una consuetudine. Ora il metro di distanza è tolto. La vicinanza, la stretta di mano, l’abbraccio, il sentire l’altro non erano solo un caso, ma una condizione necessaria del vivere la cultura. Riprendiamocela. Subito.