Mercoledì 24 Aprile 2024

Maggioranza spaccata La Russa presidente, ma senza Forza Italia Il giallo dei voti in più

Il centrodestra si divide alla prima vera conta in aula. In sedici dall’opposizione hanno sostenuto il candidato di FdI. Oggi il leghista Fontana proverà a farsi eleggere alla Camera

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di Antonella

Coppari

Tutto come previsto, tutto all’opposto del previsto, anzi del prevedibile. Ignazio La Russa diventa presidente del Senato alla prima votazione, obiettivo quasi mai raggiunto al quale Giorgia Meloni teneva moltissimo. Solo che a rendere possibile l’elezione è stato un pezzo di opposizione, che ha compensato con 16 voti (che diventano 19 se si contano anche i 2 andati a Calderoli e quello del Maie) la defezione di Forza Italia. Dopo l’ennesimo rifiuto opposto ieri mattina da Giorgia Meloni alle sue richieste, in particolare a quella di trovare un ministero purchessia per Licia Ronzulli, il Cavaliere furibondo sceglie la prova di forza. Nessun azzurro, tranne lui e la presidente uscente, Elisabetta Casellati, partecipa al voto. Sulla carta una sentenza senza appello per La Russa, tanto che nelle sale del Senato i 18 forzisti già danno per certo lo slittamento ad oggi del voto: senza di loro il centrodestra è fermo a 97 senatori. Invece quando si va alla conta i 104 voti necessari vengono non solo raggiunti, ma superati (116).

Per il Cavaliere la giornata è una giostra di emozioni. Il ritorno al Senato, dopo nove anni, il braccio di ferro che gli guasta la festa e lo irrita al punto da farsi riprendere dalle telecamere in un esasperato diverbio con il futuro presidente del Senato. Ma Berlusconi è sempre Berlusconi, dice di aver voluto dare un segnale perché sapeva che "il mio amico Ignazio sarebbe stato eletto comunque con il voto di Renzi e dei senatori a vita". Che fosse al corrente del trappolone è quanto meno incerto. Ma che la manovra fosse preparata in anticipo da Giorgia è sicuro.

L’altro ieri sera, dopo il fallimento del l’incontro a Villa Grande, Daniela Santanché aveva cenato con Renzi per definire la strategia. La leader tricolore aveva attivato anche altri canali: sussurri dal suo stato maggiore dicono che potesse contare su ben venticinque voti pescati un po’ in tutti i gruppi dell’opposizione per compensare eventuali defezioni. Tra i renziani che un po’ contano sull’appoggio della destra per conquistare la guida della vigilanza Rai e un po’ mirano a entrare in partita. Il motto di Renzi è ’on s’engage et puis on voit’, si va e poi si vede. I soccorritori arrivano pure da altre sponde; nessun gruppo può dirsi al di sopra dei sospetti.

Per FI è un colpo durissimo. Anche se il Cavaliere fa buon viso a pessimo gioco e si prepara a combattere per strappare almeno la Giustizia con la Elisabetta Casellati al posto del candidato di Giorgia, Carlo Nordio. Ma il caso Ronzulli è risolto: a chi fa notare alla leader FdI che i nemici è meglio averli al governo dove si può controllarli piuttosto che nel partito di maggioranza a fare il controcanto, risponde secca: "Non sono d’accordo". Sipario sulla ministra Ronzulli.

La manovra a tenaglia, però, non sarebbe stata neppure immaginabile senza un asse improvvisa con la Lega. Salvini ha trattato per giorni a muso duro, tanto da sembrare lui e non Berlusconi la vera controparte della futura premier. Nella notte di mercoledì il leghista si è convinto di avere di fronte un’occasione d’oro. La chiave dell’operazione si chiama Giancarlo Giorgetti. Meloni lo aveva messo in campo per ostacolare le tattiche del Capitano, ma dopo una certa irritazione iniziale, il Matteo milanese si è reso conto dell’importanza per la Lega tutta di piazzare in via XX Settembre il primo ministro dell’economia politico dopo undici anni di tecnici. Su questa base, e sulla disponibilità di Meloni a concedere parecchi altri ministeri oltre alla presidenza della Camera, l’ex ministro dell’Interno ha stretto un’alleanza di ferro. La condizione era però lo slittamento di Giorgetti da candidato della futura premier a uomo della Lega al 100%. Ha provveduto ieri al termine di un vertice con i vicesegretari: dichiarazione secca e inequivocabile. "Se la Lega vuole il Mef e mi manda, io ci vado". Lo blinda Meloni: "Sarebbe un ottimo ministro dell’Economia". Del resto, la fedeltà del numero due leghista alla disciplina di partito è leggendaria. Lo stesso vertice procede alla sostituzione in extremis del candidato a presiedere la Camera, Riccardo Molinari, che resterà capogruppo, con il Veneto Lorenzo Fontana. Questione di equilibri territoriali, spiegano dal Carroccio. In realtà su Molinari pesavano anche altre obiezioni e la sostituzione fluidifica tutto. Berlusconi intanto convoca i senatori a Villa Grande e si prepara alla nuova mano, anche se – dopo un confronto duro tra gli azzurri – non farà scherzi sul voto alla Camera oggi. La prima fase si è conclusa, e l’ha vinta dimostrando la leader di FdI. La partita del governo è tutta da giocare e entrerà nel vivo solo oggi; Giorgia minaccia di diminuire il numero dei ministeri per gli azzurri e di scegliere lei i nomi: "Voglio un governo dei migliori, non un governicchio". Di certo, può contare solo sulla disciplina del suo partito. Tra le caselle FdI uno spostamento significativo c’è: per il ministero della Difesa in pole c’è Adolfo Urso.