Venerdì 26 Aprile 2024

Lo Stato-azienda la reputazione e il boomerang

Massimo

Donelli

Warren Buffett oggi ha 92 anni. E un patrimonio di 107,6 miliardi di dollari. È considerato il più abile investitore al mondo. Di certo, è il più esperto. Infatti, ha cominciato quando aveva appena 11 anni: comprò tre azioni di Cities Service a 38 dollari l’una, le rivendette a 40. Mangiandosi le mani. Perché dopo poche settimane il titolo salì a 200 dollari. Una lezione non dimenticata. Imparata l’arte dell’attesa e della pazienza, Warren ha costruito una fortuna. Che continua a crescere. Assieme al rispetto che tutti hanno di lui, non soltanto negli Stati Uniti. "Ci vogliono vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso" è il credo di Buffett. Spiegatelo ai Paperoni del Qatar. Diteglielo che non ci sono scorciatoie per diventare credibili. E che la buona nomea non si compra con il denaro. O con la prepotenza. Lo sanno bene giganti come Google e Microsoft, che hanno sudato per acquisire status sociale nei Paesi di tutto il mondo con i fari dell’antitrust sempre sulle loro teste. Altro che mazzette a un ex sindacalista Cgil risucchiato dal lusso. O sacchi di banconote alla bella e scaltra icona bionda del socialismo greco. La reputazione è una faccenda seria e delicata per un’azienda. Figuriamoci per uno Stato-azienda come il Qatar. Che per conquistare il cosiddetto soft power (il potere morbido che prescinde da potenza economica e forza militare) ora dovrà rimboccarsi le maniche. Perché "Fa più rumore un albero che cade di cento che crescono" come amava ripetere quel gran bolognese di Bibi Ballandi (1946-2018). E perché "Il modo per ottenere una buona reputazione sta nell’agire per essere ciò che desideri apparire" come insegnava quel grande ateniese di Socrate (470-399 a.C.). Ancora pochi giorni e le luci dei Mondiali si spegneranno. Speriamo che nel buio di quel deserto di diritti e buongusto si accendano, finalmente, i lumi della ragione.