Giovedì 25 Aprile 2024

L’influencer? Parla di tutto ma di guerra no

Alessandro

Milan

è da capirli, da un certo punto di vista: i massacri, gli stupri, le bombe non si abbinano certo a una faccina o a un balletto audace. Chissà, magari loro vorrebbero anche cimentarsi in un campo così difficile, avranno certamente un pensiero formato su questo argomento. Me lo immagino anche uno di questi influencer, con le dita sullo smartphone a compulsare un messaggio sulle fosse comuni di Bucha, sul ruolo della Nato, sulle parole di Biden e dietro di lui o lei intervenire a gamba tesa uno di quei guru del marketing che li catechizza: "Ma che diavolo fai? Leggerezza, superficialità, inclusione". Onde evitare che sotto a un post sull’assedio di Mariupol si scateni un serrato dibattito tra fragolina98 e puccipucci85.

È anche però un’occasione persa. Lo dimostrano le polemiche infinite sulla pubblicità fatta da Chiara Ferragni agli Uffizi di Firenze e al Museo Egizio di Torino. Dibattiti, accuse, critiche a non finire, il risultato però è che centinaia di migliaia di suoi seguaci si sono avvicinati all’arte e alla cultura. E allora sarebbe bello un atto di coraggio anche su un tema così delicato. Cari influencer, meravigliateci. Oscar Wilde lo ripeteva di continuo: "Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi renda la vita degna di essere vissuta". So che questi mostri sacri della comunicazione conoscono il proprio pubblico di riferimento e sanno quali sono gli argomenti da evitare. So che discettare di geopolitica è materia delicata. Ma forse una parola in più di Giorgio Chiellini, un accenno da parte di Fedez, una smorfia di Khaby Lame, una nota dei Maneskin raggiungerebbe in pochi attimi centinaia di milioni di ragazzi che altrimenti rischiano di vivere sempre in una bolla di superficialità. Per carità quel post non servirebbe a raggiungere la pace, ma quantomeno renderebbe molte persone più woke. Cioè sensibili sulle tematiche sociali, tradotto per i boomer.