
Non è possibile collocare Sempio sulla scena del crimine
Non tutto ciò che lascia un segno racconta la verità. Alcuni segni confondono, altri depistano. La traccia dattiloscopica 33, oggi attribuita ad Andrea Sempio, fa esattamente questo. Quell’impronta è stata oggi rianalizzata e a lui ricondotta grazie a 15 minuzie isolate con Adobe Photoshop. Anche ammettere l’attribuzione, però, non basta per incastrarlo sulla scena criminis. Perché quell’impronta non è insanguinata. E nei delitti, il sangue non è un dettaglio: è il linguaggio che denuncia l’aggressione. I test effettuati all’epoca parlano chiaro: Combur dubbio, OBTI negativo. Nessuna traccia di emoglobina. Se il sangue non c’era allora, non può esserci oggi. Nemmeno se si recuperasse il frammento murario asportato con bisturi sterile. In aggiunta, le impronte papillari non sono databili. Non lo erano nel 2007. Non lo sono nel 2025. Chi afferma il contrario, scivola nel terreno del romanzo, non della scienza.
Non potendo stabilire quando quell’impronta è stata lasciata, non si può dire che sia stata lasciata durante l’omicidio. In più, la ninidrina è in grado di rilevare impronte latenti da anni. C’è poi il contesto. Andrea Sempio frequentava casa Poggi. La traccia compare su una parete delle scale che portano in cantina, un’area esterna alla scena attiva del crimine. Il corpo di Chiara è scivolato da solo dal quarto gradino in giù. L’aggressore, lì, non aveva ragione di scendere. Difatti, non ci sono impronte plantari che possano giustificare una presenza in quella zona. Impossibile immaginare un killer in volo. C’è un altro aspetto che non andrebbe solo dato in pasto all’opinione pubblica. Andrebbe letto. E letto diversamente. Parlo dei diari di Andrea Sempio, troppo in fretta archiviati come presunte confessioni. In realtà, sembrano piuttosto un tentativo di mettere ordine nel caos interiore: una tecnica di contenimento psichico, tipica di chi si sente schiacciato da un’accusa che non riconosce come propria. E quel bigliettino "ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare" potrebbe non essere la voce di un reo confesso, ma parlare di una sofferenza personale non necessariamente legata al delitto. Forse per un legame mai chiarito con Chiara. Se davvero vogliamo parlare di segni, allora il parallelo più inquietante sta tra ciò che resta impresso sul muro — come un’impronta — e ciò che si incide nella psiche — come un pattern. La relazione dello psicologo penitenziario ha descritto Stasi come un soggetto affettivamente impermeabile, incapace di empatia verso Chiara e la sua famiglia. C’è anche la natura ossessiva della sua attività pornografica a completare il quadro anche a distanza di anni. Contenuti violenti, organizzati in cartelle maniacalmente nominate.
La domanda da porsi è comunque un’altra. Se cambia il modo in cui viene raccontata una traccia, può cambiare l’intero esito processuale? Perché, se così fosse, avremmo il trionfo dell’interpretazione che non cerca la verità, ma una verità che resista alle regole del processo. In altre parole, se mettiamo in discussione la condanna di Alberto Stasi al di là di ogni ragionevole dubbio, non possiamo rischiare che ne nasca un’altra al di qua di ogni ragionevole dubbio.