
Giovanni Brusca, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è libero. Vivrà sotto falsa identità e protezione. Il momento del suo arresto nel 1996
Palermo, 5 giugno 2025 – A 68 anni Giovanni Brusca è un uomo libero. Definitivamente. L’ex capomafia, boia di Giovanni Falcone, ha pagato il suo debito con la giustizia. Venticinque anni di carcere, più 4 anni di libertà vigilata, per oltre un centinaio di omicidi che ha ordinato o commesso in prima persona. Una pena ‘scontata’ in quanto collaboratore di giustizia. Brusca resterà sottoposto al programma di protezione: continuerà a vivere lontano dalla Sicilia, sotto una falsa identità.
La legge sui pentiti
Già la sua scarcerazione, nel 2021, fu seguita da un vespaio di polemiche, sollevate dai familiari delle vittime di Cosa Nostra, ma non solo. E ora c’è da aspettarsene di nuove. Eppure Brusca è libero in applicazione di una legge, quella sui collaboratori di giustizia, di cui l’ex magistrato Falcone è stato l’architetto intellettuale e principale promotore. Un compromesso tra le necessità di repressione della criminalità organizzata e la concessione di benefici a chi dimostra di dissociarsi, contribuendo alle indagini. In questo l’ex magistrato fu un antesignano, immaginando che solo la collaborazione di un uomo integrato a Cosa Nostra potesse squarciare il velo sul suo funzionamento. Del resto lo stesso Brusca fu arrestato grazie alle soffiate di pentiti.
Il libro-confessione
Uscito dal carcere, Brusca ha rilasciato dichiarazioni e interviste, e ha anche partecipato alla stesura di un libro che racconta la sua storia. Ha pubblicamente chiesto scusa ai familiari delle sue vittime, pur riconoscendo l'impossibilità di un perdono per crimini così atroci come il rapimento e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo (1996) – figlio del pentito Santino Di Matteo – strangolato e sciolto nell'acido quando aveva 15 anni dopo due anni e mezzo di sequestro.
Mente stragista
Giovanni Brusca, corleonese a capo del mandamento di San Giuseppe Jato, uomo di Totò Riina, ha confessato oltre 100 delitti. "Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso – scrive nel suo libro –. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”. Nel gergo mafioso era soprannominato non a caso lo ‘scannacristiani’, non solo per il lunghissimo elenco di omicidi di cui si era macchiato ma anche per la loro efferatezza.

Brusca azionò materialmente il telecomando che il 23 maggio 1992 fece esplodere a Capaci l’auto su cui viaggiavano Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo con gli agenti della scorta. Non era la prima volta che manovrava un’autobomba: l’aveva usata 9 anni prima per un altro attentato, quello contro il giudice Rocco Chinnici (29 luglio 1983), cui era seguito l’anno dopo l’agguato al capitano dei carabinieri di Monreale Mario D'Aleo. Ma stavolta Cosa Nostra e Brusca erano saliti di livello: proprio il boss di San Giuseppe Jato fu uno degli artefici del passaggio alla stagione stragista. Suo il piano per eliminare il giudice Borsellino, erede morale di Falcone. Sua la mente dietro al progetto degli attentati contro l'allora ministro della giustizia Claudio Martelli, il deputato Calogero Mannino e il giudice Pietro Grasso, che fortunatamente non andarono in porto.
Brusca fu arrestato qualche mese dopo l’omicidio di Di Matteo, il 20 maggio 1996: nel 2000 gli fu riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia che gli consentì di lasciare il regime di carcere duro previsto dall'articolo 41-bis e di godere dei benefici previsti dalla legge, incluso un sussidio di 500mila lire al mese. Fecero scalpore i permessi premio ricevuti a Rebibbia a fine 2016. “Sono una persona diversa. Non sono più il crudele uomo di mafia di vent’anni fa”, replicava alle critiche. Di cambiato, ora, c’è sicuramente il nome: Giovanni Brusca non esiste più.
Le reazioni
“Lo so bene che è stata applicata la legge ma sono molto amareggiata”. Commenta così la notizia della liberazione definitiva di Brusca Tina Montinaro moglie di Antonio, caposcorta del giudice Falcone, rimasto uccisi nella Strage di Capaci insieme ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo. “Questa non è Giustizia né per i familiari né per le persone per bene – afferma –. A distanza di 33 anni i processi continuano e noi familiari non sappiamo la verità. Credo sia indegno che Brusca, per quanto abbia avuto accesso alla legge sui collaboratori di giustizia sia libero. Mi aspetto che la città si indigni. Se è vero che è cambiata. Ritengo che non si possa rimanere indifferenti”.
La moglie del caposcorta di Falcone: “Brusca libero? Non è giustizia”
Stessa amarezza per Giuseppe Costanza, l'autista del giudice Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992: “Queste persone che hanno ucciso anche bambini non dovrebbero uscire più di prigione. Sono molto amareggiato. Essere scarcerati dopo 25 anni e magari con qualche vitalizio. E' un premio? Dovrebbero uscire dalla tomba anche Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro Rocco Dicillo. E invece adesso Brusca ce l'abbiamo in giro. Viva l'Italia. Ecco, adesso festeggiamo la liberazione”.
Maria Falcone: “Legge sui pentiti è indispensabile”
"Come cittadina e come sorella, non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre – commenta Maria Falcone, sorella del giudice –. Ma come donna delle Istituzioni, sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall'interno”.