Mercoledì 24 Aprile 2024

Le carte della Procura Quando Conte parlò ai pm "Mai visto la bozza che stabiliva la zona rossa"

L’ex premier fu sentito il 12 giugno 2020 sulle limitazioni nei comuni di Alzano e Nembro. L’allora ministro Speranza avvisò Brusaferro (Iss): senza una relazione strutturata lui non chiude

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di Francesco Donadoni

e Andrea Gianni

I contagi da giorni si diffondevano incontrollati nelle zone di Alzano Lombardo e Nembro quando, alle 18 del 2 marzo 2020, si riunisce a Roma il Comitato tecnico scientifico. L’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, alla presenza del ministro della Salute Roberto Speranza, prende posizione evidenziando che "la zona rossa va usata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato", chiedendo tempo per riflettere. Il resoconto della riunione, acquisito dalla Procura di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta della Gdf sulla gestione della pandemia e sulla mancata istituzione della zona rossa nella Val Seriana, è uno spaccato delle indecisioni sulla strada da seguire dopo giorni di "improvvisazione". Uno spaccato anche delle omissioni davanti ai pm, perché Speranza e Conte hanno raccontato agli inquirenti (entrambi sono indagati con altre 17 persone, tra cui il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e i componenti del Cts) di "essere venuti a conoscenza del caso di Alzano e Nembro" rispettivamente solo il 4 e il 5 marzo.

Tentennamenti che emergono anche da un messaggio che Speranza avrebbe inviato a Silvio Brusaferro (presidente dell’Istituto superiore di sanità), anche lui indagato: "Conte senza una relazione strutturata non chiude i due comuni (di Alzano e Nembro, ndr). Pensa che se non c’è una differenza con altri comuni ha un costo enorme senza benefici". Nella sua consulenza di 83 pagine per la Procura di Bergamo, il microbiologo Andrea Crisanti conclude che "queste considerazioni hanno prevalso sull’esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini", mentre "l’adozione di misure di contenimento tipo zona rossa" dal 27 febbraio (Fontana e Gallera sarebbero stati a conoscenza da quella data che la situazione era "fuori controllo") avrebbe permesso di evitare 4148 decessi. E il 28 febbraio è evidenziato come il giorno cruciale, in cui l’Italia si consegnò alla pandemia. Il Governo aveva un "manuale d’istruzione", cioè il piano pandemico mai aggiornato dal 2006, ma questo fu "scartato a priori".

Secondo la relazione di Crisanti, oltre alla Regione e al Governo gli stessi Comuni "avevano l’autorità per imporre misure", ma avevano ricevuto "istruzioni di non prendere iniziative personali". Sulla mancata istituzione della zona rossa sono stati ascoltati a lungo, all’epoca con la veste di persone informate sui fatti, gli attuali indagati, tra politici e tecnici, anelli di una "catena di comando difettosa".

"Il fatto che il 5 marzo 2020 la bozza fosse già sottoscritta dal ministro Speranza mi è stato riferito successivamente. Il documento firmato non è mai stato nelle mie mani", ha spiegato Conte il 12 giugno 2020, riferendosi al decreto per istituire la zona rossa a Nembro e Alzano, firmato solo da Speranza e mai entrato in vigore. Di fronte agli approfondimenti del Cts "e alla luce degli ultimi dati, emerse l’orientamento degli esperti di una soluzione ancora più rigorosa, non limitata ai due comuni della Val Seriana", ma a tutta Italia (anche Speranza ha parlato della necessità di misure "su un’area molto più vasta"). L’ex premier, si legge nel verbale, ha anche escluso una richiesta da parte di Fontana di istituire "una zona rossa" nella Bergamasca. Conte ha spiegato che da Fontana non sono mai arrivate "richieste formali o informali" sulla zona rossa e ha parlato della email che il governatore gli inviò il 28 febbraio 2020 chiedendo il "mantenimento" delle "misure" già "adottate". Ma Fontana, il 29 maggio del 2020, ha fornito agli inquirenti una versione diversa: "La nostra proposta è stata quella di istituire la zona rossa".

L’impreparazione, in quella prima fase della pandemia, emerge anche da una email inviata il 15 aprile 2020 dalla responsabile per il controllo infezioni dell’Oms a Brusaferro: "L’Italia è il Paese con più bassa capacità di ‘detection’. Avete trovato solo il 10% dei casi reali". Il primo allarme inascoltato risale al 12 febbraio 2020, otto giorni prima della scoperta del primo caso a Codogno, quando l’epidemiologo Stefano Merler illustrò scenari basati "sulle osservazioni cinesi", e spiegò che "l’impatto sul sistema sanitario italiano sarebbe stato devastante in termine di decessi e di occupazione di reparti di terapia intensiva". Previsione che, tragicamente, si è avverata.