Giovedì 25 Aprile 2024

La via d’uscita è il ritorno al nucleare

Lorenzo

Castellani

A Portovesme, nel Sulcis, alcuni operai sono saliti in cima alla ciminiera dell’omonima raffineria di alluminio a seguito della comunicazione dell’azienda di mettere in cassa integrazione millecinqucento lavoratori. La diversificazione energetica ha un costo e i prezzi energetici si assestano su livelli ancora molto superiori rispetto a quelli di pochi anni fa. Questa situazione mette in difficoltà le aziende energivore che in Europa incontrano costi insostenibili. Dove è indispensabile interviene lo Stato ma nei casi meno eclatanti, come quello sardo, le crisi colpiscono duramente. D’altronde, il governo non può andare avanti a colpi di nazionalizzazioni. Si affaccia dunque uno scenario di deindustrializzazione anche a causa di una transizione ecologica voluta da Bruxelles a passo di marcia che rischia di essere molto costosa per aziende e lavoratori. Questo rischio fa il paio con la timidezza italiana nel trovare alternative sia ai fossili sia alle rinnovabili come dimostra l’assenza del governo, questa volta invitato da Macron, alla conferenza sul nucleare pulito tenutasi in Francia qualche giorno fa.

Il governo Meloni non si caratterizza di certo per l’ambientalismo militante perché allora non rilanciare un piano per il nucleare? È lo stesso eccesso di prudenza che si nota verso un’altra infrastruttura fondamentale in questo contesto, i rigassficatori, su cui l’esecutivo sembra camminare sulle uova. Eppure una strada ragionevole ci sarebbe: sui tavoli europei battersi per evitare certi eccessi ideologici in materia ambientale dannosi per l’interesse nazionale; aprire al nucleare di ultima generazione; procedere velocemente alla realizzazione dei rigassificatori. Quando si tratta di una materia delicata e fondamentale per l’Italia come la politica industriale servono priorità chiare, decisione ed equilibrio. Su questo punto il governo Meloni sembra ancora impacciato e titubante.