Mercoledì 24 Aprile 2024

La strage dell’ergastolano Uccide due donne e si ammazza Era fuori in licenza premio

Le vittime, di 48 e 50 anni, freddate a colpi di pistola. Il killer doveva rientrare in cella ieri sera. Aveva avuto una relazione con la più giovane. Si è tolto la vita sparandosi davanti ai carabinieri

Migration

CATANIA

Un duplice femminicidio, poi un suicidio. È una mattinata di sangue e di follia a Riposto (Catania) dove un ergastolano, in semilibertà nonostante la condanna al carcere a vita per associazione mafiosa e per un omicidio commesso nel 1992, fa una strage uccidendo due donne, una di queste era la sua ex amante, prima di rivolgere la canna della pistola verso di sé e spararsi alla tempia davanti ai carabinieri. Sono del 9 mattino e a Riposto, Comune di 13 mila anime sullo Jonio che divide in due la costa tra Messina e Catania, si fa la conta dei danni delle mareggiate dopo i nubifragi. Salvatore La Motta, detto Turi, 63 anni, in licenza premio dal carcere di Augusta dove sarebbe dovuto rientrare in serata, ha forse un appuntamento sul grande porto turistico di "Marina di Riposto" con Carmelina Marino, detta Melina, 48 anni, madre di due figli, con cui fino a poco tempo fa aveva una relazione. Non è ancora chiara tutta la dinamica della vicenda, Melina arriva sul lungomare a bordo della sua Suzuki Ignis e si ferma a fare benzina.

Il delitto viene ripreso dal sistema di videosorveglianza del distributore. L’assassino arriva in auto, scende, apre lo sportello della Suzuky e spara. Nessuna discussione, nessuno scampo alla vittima. Una vera e propria esecuzione. Il pregiudicato si porta poi al centro di Riposto, nei pressi di via Roma. Ha ancora una missione da compiere, deve completare il suo disegno criminale. Si apposta, vede arrivare Santa Castorina, 50 anni, amica e confidente di Melina. Appena la donna esce dalla sua Panda, lasciando nell’abitacolo il suo barboncino, La Motta si avvicina e le spara due colpi alla testa, sempre con lo stresso revolver calibro 38. Santa stramazza in una pozza di sangue, per lei non c’è nulla da fare. È passata meno di un’ora dal primo omicidio.

L’ergastolano si dà alla fuga, vaga per le strade che da Riposto vanno a Giarre, non si sa se da solo o accompagnato da qualcuno poi qualche minuto prima di mezzogiorno, bussa alla caserma dei carabinieri di Riposto.

Ecco cosa racconta il tenente colonnello Claudio Papagno: "Si è presentato, a mezzogiorno, all’esterno della caserma, armato con una rivoltella, dicendo: ‘Mi voglio costituire’. I militari, tenendolo sotto tiro, hanno cercato di convincerlo a lasciare l’arma e non fare alcun tipo di gesto insensato. Tutto vano, l’uomo si è puntato la pistola alla testa e ha fatto fuoco". Poco prima di suicidarsi, La Motta viene contattato dal suo legale, l’avvocato Antonino Cristofero Alessi. "Gli ho detto che lo cercavano e di venire subito. C’eravamo visti venerdì pomeriggio, come accadeva spesso. Come tutti gli altri detenuti in semi di libertà godeva di 45 giorni di permesso all’anno. Era tranquillo, nulla che facesse pensare ad una tragedia simile".

Sul movente ci sono al momento solo congetture, e riportano tutte a motivi passionali, forse a una gelosia morbosa. In particolare alla relazione che Turi avrebbe avuto con Melina e al ruolo di Santa che avrebbe fatto di tutto per dissuaderla da un legame tanto pericoloso e violento. Viene ascoltato in serata un uomo che probabilmente era sulla scena del primo omicidio, quello di Melina. Turi La Motta, 63 anni, è il fratello di Benedetto, noto come "Benito" o "Iddu", 65 anni, arrestato nel luglio del 2020 e indicato come il reggente a Riposto e Giarre del clan Santapaola-Ercolano che controlla spaccio e porto turistico. Condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise e d’Appello di Catania, Turi era, invece, accusato di essere uno dei componenti del "gruppo di fuoco" che il 4 gennaio del 1992 davanti a un bar del paese uccise Leonardo Campo, 69 anni, uno dei capi storici della malavita di Giarre.

Dopo un primo periodo in carcere gli è stata concessa la detenzione in semilibertà, lavorava di giorno in un caseificio e la sera rientrava in carcere. Sabato era l’ultimo giorno di un permesso premio di una settimana. Il sindaco di Riposto, Enzo Caragliano, si dice sconvolto. "Lo è l’intera comunità, che nulla ha a che fare con l’immagine violenta che in queste ore viene trasmessa sui media".

Nino Femiani