Mercoledì 24 Aprile 2024

La parola si fece social E fu Clubhouse

Migration

Ermelinda

M. Campani

è una nuova App (per il momento funziona solo su iPhone) che pare davvero rivoluzionaria. Per certi versi è molto tradizionale perché la sua storia è quella solita: due giovanissimi laureati di Stanford University, Paul Davison e Rohan Seth, l’hanno inventata agli inizi del 2020 grazie alla loro buona idea e a un investimento di 12 milioni di dollari da parte di una delle più importanti tra le aziende di venture capital della Silicon Valley, la Andreessen-Horowitz. A distanza di qualche mese, e con solo 1.500 utenti, Clubhouse era valutata 100 milioni di dollari; oggi, con 1,2 milioni di utenti da tutto il mondo, vale un miliardo di dollari. Fin qui tutto abbastanza normale.

Ciò che la rende fuori dal comune, invece, è il fatto che nell’universo di foto, immagini e video dei social media, Clubhouse è solo parlata. Una ventata di aria fresca nel pot-pourri di immagini, di like e di twittii social, grazie a un’App che sta a Facebook e Instagram come la radio sta alla TV. Entrare nella App corrisponde, almeno idealmente, a fare il proprio ingresso in un club (anche un po’ esclusivo), a cui si accede solo se si è presentati. Ovvero, ci si iscrive a Clubhouse come a un’altra App, ma per diventarne parte bisogna che uno che è già nel Club ci riconosca e ci inviti a entrare. E già questa è un’ottima cosa perché riduce la piaga dei profili falsi dietro ai quali si nasconde di tutto, dagli odiatori a chissà chi. Una volta dentro, ci si trova in uno spazio fitto di conversazioni live da tutto il mondo, sugli argomenti più disparati. Uno sceglie quella che preferisce, ascolta e fa le domande che vuole, col permesso del moderatore. Ogni membro di Clubhouse può a sua volta creare un tavolo su un tema e invitare un gruppo di persone a parlarne. L’intuizione sembra geniale, la App sancisce il primato della parola su quello dell’immagine, fa comunicazione più che informazione ma disegna una nuova geografia (culturale e socio-politica) basata sul potere e sui tempi della parola. L’immagine invita all’azione, la parola alla riflessione. Speriamo.