Il raccolto andato male, un lutto improvviso in famiglia, l’infertilità. O anche la perdita del lavoro, quando, nelle zone più povere della Nigeria, si ha la fortuna di averne uno. Un motivo vale l’altro, il capro espiatorio è sempre lo stesso: il bambino. Il più debole della famiglia, il più facile da colpire. Fino a cacciarlo di casa, torturarlo, ucciderlo. Secondo dati Unicef, ogni anno, sono almeno 15mila i bambini nigeriani accusati di essere ’streghe’ e chiamati ’skolombo’. E, per questo motivo, perseguitati o gettati in mezzo alla strada, dove non avranno alcuna possibilità di sopravvivenza. La stessa Unicef spiega che le vittime hanno tra i 4 e i 6 anni. Sono vulnerabili, con disabilità fisiche o affetti da malattie o disturbi come l’epilessia. Ma a volte, per essere marchiati, basta essere solo pigri o indisciplinati. Quelli più fortunati vengono messi alla porta. Altri, persino neonati, in particolare nelle regioni sud-orientali di Akwa Ibom e Cross Rivers, vengono torturati: chiodi piantati in testa, costretti a bere cemento, sfregiati con l’acido, bruciati vivi. Anja Ringgren Lovén, 43 anni, danese, operatrice umanitaria, dal 2012 dirige 'Land of Hope', casa-famiglia da lei fondata e che, oggi, accoglie e cresce 85 bambini. Ringgren Lovén è la donna che salva dalla strada i bimbi accusati di essere ’streghe’. Nel 2016, la foto di lei accovacciata mentre dà da bere a un piccolo tutto nudo, coperto di polvere e ridotto a uno scheletro, fece il giro del mondo. Quel bimbo, chiamato Hope, oggi ha 9 anni e un futuro davanti a sé. Quell’immagine colpì come un pugno nello stomaco. Cosa accadde quel giorno? "Prima di Hope avevo già salvato più di 50 bambini, quindi sapevo già cosa fare. Ma mai me ne ero trovata davanti uno in condizioni così critiche. Pensai a mio figlio, che ha ...
© Riproduzione riservata