ROMA
Scomparsa. Dimenticata. Abbandonata su grucce impolverate nell’armadio di casa o in improbabili vetrine dello shopping che non c’è. Alzi la mano chi in questi mesi di lockdown e restrizioni è andato in giro in cravatta, ha comprato una cravatta, ha visto un amico in cravatta. Statistiche ufficiali non ce ne sono, ma è verosimile che a fine anno questo articolo dell’abbigliamento maschile sarà tra i caduti-simbolo della pandemia. Pochissimi resistenti hanno provato a non perdere l’antica abitudine. Tutto – anche la sequenza dei contagi, delle ondate e dei provvedimenti a tutela della salute pubblica – ha congiurato contro un accessorio che poi accessorio non è.
La cravatta, firmata o non firmata, annodata a puntino o studiatamente morbida, quando non in formato pallina da tennis sotto la giugulare (modello calciatore in uscita mondana), ha cominciato a scomparire dai radar con il primo lockdown. Diventando anzi elemento distintivo luttuoso: articolo per funerale sulla camicia dei congiunti in lacrime e del personale delle pompe funebri vestito da contratto.
Il rallentamento epidemico estivo e la corsa alle spiagge ha dato un ulteriore taglio a supposti ritorni di seta. La voglia di stare all’aria aperta, al mare o in montagna, seppur mediata dalla mascherina quando consigliata o prescritta, non poteva tollerare altre costrizioni. Così il brusco risveglio autunnale, con il focus su morti, terapie intensive e misure anti-contagio, si è tradotto nel definitivo ko. Quando legioni di travet in smart-working hanno visto il capo collegarsi da casa non con la rituale fantasia di Hermés, ma in tuta e felpa della maison Matteo Salvini, il destino è apparso segnato.
Non bastasse il colpo assestato dalle webcam, le nuove restrizioni a macchia di leopardo hanno cancellato ogni idea di socialità, seduzione, futuro. Maurizio Marinella, simbolo dello stile napoletano che il mondo invidia, si è beccato il virus, ne è uscito a fatica e ora è tornato in negozio "a porte chiuse", accettando "ordini esclusivamente on line". "L’atmosfera di festa è davvero lontanissima", dichiara al Corriere, preoccupato perché "questo virus ci è entrato nella testa": "Siamo tutti diversi, sfiduciati, incontriamo un amico da lontano e cerchiamo di scansarlo per evitare che ci saluti". Quando gli italiani rimetteranno con piacere la cravatta, sarà quello il vero segnale di fine pandemia. Altro che tamponi.
Giovanni Rossi