Davide
Rondoni
Don Roberto era uno dei tanti, uno della maggior parte, della stragrande maggioranza dei sacerdoti che sostiene con la propria speranza e testimonianza la solitudine e la miseria umana. Gente che si offre a sostenere come può il disagio spirituale e materiale che dilaga in questo paese e nel mondo. Solo che i media amano parlare solo di preti come pedofili e maneggioni. Questo assassinio balza alla cronaca ovviamente mescolandosi con tante faccende ( il problema immigraziome eccetera) che però non devono nascondere l’essenziale, e lo scandalo vero. La questione su che cosa davvero ha mosso la mano assassina di un tizio a cui il prete aveva la mattina preparato la colazione, rimarrà comunque in fondo nelle oscurità del mistero del male. Lo chiamiamo raptus a volte, o follia per provare a circoscriverne, inutilmente, il mistero. Ma il dato evidente, direi quasi urlante, in questo evento è che don Roberto ha dato la vita per un altro, per gli altri. Ed è quello che fanno i preti, la stragrande maggioranza, ripeto, contro un modo di ritrarli spesso banale, fazioso e colpevole. Non lo fanno perché animati da buoni sentimenti o da quello spirito solidaristico spesso più retoricamente decantato che vissuto dagli stessi che ignorano i preti o li dipingono in modo banale. Danno la vita a Dio Padre per questo vivono la fraternità, e imitano, amandolo, Gesù, non lo fanno perchè sono bravi cittadini. Hanno una dismisura del cuore, una finestra nel cuore e nel corpo (dedito a Dio) che nulla ha che fare con le buone maniere o il senso naturale di solidarietà. Sono segni di una dismisura. In questa morte ingiustissima c’è tutta la verità di una parola che il vocabolario corrente prova a oscurare, la parola "vocazione". La parola che da sempre invece è al centro della vita cristiana. Vocati, chiamati amici da un Dio che ha dato la vita per gli altri. Fino al sangue se occorre, se capita.