Mercoledì 24 Aprile 2024

Isis, la jihadista Meriem Rehaily è viva e ha due figli. "Voglio tornare in Italia"

La 22enne di origini marocchine era fuggita da Padova in Siria nel 2015 per unirsi allo Stato islamico ed è stata condannata in contumacia a 4 anni per terrorismo. I dubbi del legale d'ufficio

Meriem Rehaily (Ansa)

Meriem Rehaily (Ansa)

Venezia 2018 - Nel dicembre scorso, scampata ai raid anti-Isis, molti la davano pronta a fare la kamikaze in Italia. Ora Meriem Rehaily, la foreign fighter padovana fuggita di casa nel 2015 per unirsi a Daesh in Siria, sembra pentita su tutti i fronti: "Voglio tornare in Italia anche se dovrò andare in carcere", dice la 22enne di origini marocchine. Altro che combattente per lo Stato islamico: ora non vede l'ora di tornare a casa. Lo confessa in un'intervista al Giornale, che l'ha scovata in un campo di prigionia controllato dalle milizie curde. Meriem non sembra più la stessa: scappata a 19 anni che era poco più di una ragazzina, ora ha due figli, indossa un niqab e sembra consapevole del fatto che che sulla sua testa pende una condanna a quattro anni emessa il 12 dicembre scorso dal Tribunale di Venezia. 

Ma dopo quello che ha passato, il carcere italiano non la spaventa: "Almeno riabbraccio la mamma - dice piangendo - mi manca tanto...". Meriem vive nella tendopoli di Roj, nel nord est della Siria, dove sono in custodia un migliaio di mogli dell'Isis con i loro bambini. "Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente - è la sua linea di difesa - Dal'Isis ho subito un lavaggio del cervello. Prima vivevo come una normale adolescente che andava a scuola e usciva con gli amici. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata in Siria".

A Raqqa si è sposata con un palestinese che ha combattuto contro i soldati di Bashar e da lui ha avuto due figli, che ora hanno un anno e mezzo e sei mesi. Da lì è riuscita a contattare i genitori che, anche tramite un appello indirizzato alle autorità curde, ora stanno cercando di farla tornare a casa. Alla notizia che la figlia è viva, il padre Redouane Rehaily non sta in sé dalla gioia: "E un giorno di vera festa, siamo tutti contenti. L'abbiamo riconosciuta subito vedendo la foto del Giornale. Abbiamo sempre detto che era stata plagiata e che voleva tornare a casa".

Una svolta? A crederci poco è Andrea Niero, difensore d'ufficio di Meriem Rehaily nel processo che l'ha vista condannata in contumacia a 4 anni dal Tribunale di Venezia per terrorismo. "Il padre non ha mai perso i contatti con la figlia - assicura l'avvocato - ha sempre saputo tutto di lei, ma non ha mai voluto parlare". E spiega i suoi sospetti: "Io vedo una regia dietro al caso di questa ragazza. Viene sempre fuori una notizia quando c'è un calo di interesse sulla vicenda. E ogni volta una versione diversa. Io resto della mia idea: Meriem viene 'utilizzata' da qualcuno".

Per Niero vi sono molti punti oscuri nella sparizione della ragazza, nella descrizione che si è fatta di lei e in quanto è avvenuto dopo la sua fuga dall'Italia. "Non si è indagato sulle sue amicizie - aggiunge alludendo a chi l'ha aiutata a raggiungere la Siria - o magari gli accertamenti ci sono stati ma non sono stati resi noti". Il legale non crede neppure all'immagine di una Meriem hacker consumata, genio dell'informatica: secondo lui si tratta solo di una studentessa con normali conoscenze della rete. E si dice poi poco convinto anche del suo pentimento: "Se fosse realmente pentita chiederebbe veramente scusa - spiega - il rischio è invece che, tornata in Italia e scontata la pena, continui a fare proselitismo".