Covid e musei chiusi: io e Venere nella solitudine degli Uffizi

Viaggio nella Galleria dove restano solo le guardie. "A soffrire di più l’assenza dei visitatori sono proprio le opere d’arte"

Galleria degli Uffizi chiusa: le sale deserte (Pressphoto)

Galleria degli Uffizi chiusa: le sale deserte (Pressphoto)

La luce dell’allarme punteggia di rosso la stanza deserta. Sola, abbandonata, distante: nella steppa gelida degli Uffizi mondi di pubblico, viene quasi da dare ragione a Milo Manara, che su Instagram l’ha disegnata seduta sulla valva di conchiglia, ad aspettare sconsolata che i musei riaprano. La solitudine della Venere di Botticelli al tempo del Covid è certo una suggestione, ma camminare oggi nelle sale degli Uffizi svuotate dalla gente è un viaggio nella malinconia che consegna bene il segno del tempo.

Gli Uffizi: prima della catastrofe, ovvero nel 2019, da qui sono passati quasi 4 milioni e mezzo di visitatori. Il museo più visitato d’Italia e fra i top 10 del mondo. Ancora oggi, che le sue porte per dpcm sono sbarrate al pubblico, dentro la vita in qualche modo continua: "Vede, il motore degli Uffizi non si spegne mai, a maggior ragione in momenti drammatici come questo. Dietro le quinte il lavoro continua, ogni giorno, senza sosta", spiega Eike Schmidt, infaticabile direttore delle Gallerie.

Il motore dei musei che non può fermarsi. Un po’ come l’altoforno, dove il fuoco non può spegnersi pena il danneggiamento irreparabile, anche dentro gli Uffizi, che sono l’altoforno culturale di Firenze, la fiamma della bellezza deve preservarsi. Così i custodi continuano a custodire, i portieri a presidiare, le guardie a sorvegliare: "Certo, l’assenza dei visitatori si fa sentire, ma a soffrirne di più sono le opere d’arte", sorride una di loro.

Sarà per questa suggestione che, entrando nella stanza di Giotto, si ha come l’impressione che la sua Madonna guardi quella col bambino di Duccio e i loro sguardi servano a consolarsi a vicenda. Il deserto è ovunque. Non c’è nessuno davanti alla ‘Tebaide’ di Beato Angelico, il dipinto più amato dai bambini che per questo il direttore Schmidt ha piazzato a 65 centimetri da terra; e non c’è nessuno nemmeno nella sala dove i duchi di Urbino di Piero della Francesca sembrano finalmente dare un senso compiuto al loro sguardo incrociato ed enigmatico che da secoli li caratterizza.

Il grande sonno degli Uffizi, che avvolge tutto. Tre volte a settimana passano i restauratori a vedere che tutto sia in ordine. Se qualcosa si usura, si interviene. Si ritoccano i colori di Filippo Lippi o i disegni di Paolo Uccello, proprio come fanno i caldaisti con le giunture che gocciolano nelle sale macchine della siderurgia. Tant’è.

Il deserto rende ancor più gelida la penombra della sala di Leonardo. Qui, dove stazionavano centinaia di persone per osservare a turno il genio vinciano, il vuoto rende tutto metafisico. E, di fronte all’Annunciazione, verrebbe da inginocchiarsi proprio come fa l’angelo porgendo a Maria lo stesso gesto della mano: "Sia lode a te potenza dell’arte". Il deserto che amplifica lo stupore.

Ma poi, proseguendo nelle stanze, l’effetto viene meno, cessa. Mentre avanza parimenti una sensazione come di disagio. La cogli davanti al ‘Tondo Doni’ michelangiolesco, con quel dispiacere che si ha nel pensare come quelle pennellate possenti oggi non possano essere d’altri, ma siano disponibili solo per te. La stessa sensazione che si amplifica davanti ai coniugi Doni di Raffaello, "con i loro vestiti così moderni che potrebbero stare in un episodio di Matrix", sorride Tommaso Galligani, portavoce delle Gallerie che ci ha fatto da Virgilio nel viaggio.

Sì, attraversare gli Uffizi desertificati dal Covid alla fine serve a ricordare come i musei esistano solo perché siano pieni di gente. Come le città, come le vie, come le piazze. Lo ribadisce la Venere di Tiziano, imbronciata per questa assenza, lo testimonia la Medusa di Caravaggio, che oggi sembra ancor più feroce: "Chi posso impietrire ora che nessuno passa più da qui?".

Giotto e Raffaello, Tiziano e Caravaggio, tutti insieme a urlare nel silenzio: se pensiamo davvero che l’assenza e le porte chiuse siano ricchezza, allora niente ha più senso. Non lo ha l’arte, figurarsi la vita.