Giovedì 25 Aprile 2024

"Tanti morti in corsia? Sfortuna". L'infermiera: non sono un killer

Ravenna, l'iniezione letale al potassio.Botta e risposta con il pm

Processo all'infermiera Daniela Poggiali (Zani)

Processo all'infermiera Daniela Poggiali (Zani)

Ravenna, 5 dicembre 2015 - TROPPI PAZIENTI morti nei suoi turni? «Sono sfortunata». Battute infelici sull’uso del letale potassio? «Sono auto-ironica». Soggezione tra le colleghe? «Sono sorpresa». In corte d’assise a Ravenna ieri è stato il giorno di Daniela Poggiali, la 43enne ex infermiera dell’ospedale ‘Umberto I’ di Lugo, nel Ravennate, accusata di avere ucciso una sua paziente, la 78enne Rosa Calderoni, iniettandole la mattina dell’8 aprile 2014 a poche ore dal ricovero una dose mortale di potassio cloruro. L’imputata, che si trova in carcere da 14 mesi, è arrivata verso le 9.20 quando l’aula era già quasi piena. Jeans, cardigan scuro e pullover a fiori: tutto in linea con il suo nuovo aspetto sobrio e ben distante da quando, poco dopo l’arresto, in tribunale circondata dalla Penitenziaria sorrideva ai giornalisti. Un abbozzo di sorriso ora lo ha solo per Luigi, il fidanzato di sempre, che già dalla mattina presto s’era appostato sul cancello del tribunale per poterla vedere. E poi si è seduta davanti alla corte per rispondere per oltre tre ore e mezza a tutte le domande. Senza però mai cambiare tono né espressione, o fremere nemmeno davanti alle due celeberrime foto proiettate sul grande schermo nelle quali posa sorridente accanto a una paziente di 102 anni appena morta. Sempre uguale, senza palpitazioni, all’apparenza senza emozione o con una formidabile capacità di autocontrollo.   «VOGLIO RISPONDERE», ha subito replicato al presidente della corte Corrado Schiaretti che le ricordava che da imputata avrebbe potuto pure starsene zitta. La sua storia professionale l’ha aperta da quando nel 2002 era stata assunta all’ospedale di Lugo. Il pm Angela Scorza aveva già in animo di interrogarla per capitoli. E il primo riguarda le colleghe: «Con loro c’era un rapporto lavorativo nella norma – ha assicurato la Poggiali –. Mai avvertito soggezione: sono rimasta molto sorpresa quando l’ho letto negli atti». Nelle domande dell’accusa sfilano altri ricordi di colleghe che l’hanno proiettata nel mezzo di numerosi furti in corsia. L’imputata ha negato: «Mai andata a rovistare tra le cose dei pazienti a meno che non mi fosse stato chiesto». E nemmeno «mai prescritto purghe per ritorsione» contro talune colleghe che poi dovevano lavare i degenti. È il momento delle battute: quelle che in ospedale le avevano sentito fare sull’uso di potassio per sistemare i pazienti più gravi. «Può darsi che abbia fatto battute fuori luogo – ha ricordato l’ex infermiera – in un momento che non era appropriato». Lei l’ha spiegata così: «Una tendenza all’autoironia la mia, ma per smorzare la tensione del reparto dove lavoravo».    IL CAPITOLO più duro è arrivato con i decessi sospetti. Una scia di pazienti morti congelata in dati statistici che proiettano tra il 2013 e il 2014 la Poggiali al vertice di una non certo ambita graduatoria. L’imputata all’inizio ha ricondotto i numeri al suo stacanovismo: «Non mi sono mai assentata, nemmeno per malattia». Il pm le ha allora fatto notare che il tasso era stato calcolato tenendo proprio conto delle presenze. La Poggiali ha dovuto rivedere il tutto in questo modo: «Sono sfortunata, non lo so... È un reparto problematico». La scia di decessi elencati dall’accusa è continuata con un cugino del dirigente infermieristico, figura quest’ultima che non le stava troppo simpatica: «Mi ricordo che una collega mi disse che era parente alla lontana». O con il datore di lavoro del suo fidanzato il quale era stato licenziato dall’azienda.   NUOVA immagine alle sue spalle: ecco le due foto dove sorride vicino alla paziente morta. «Pose stupide sciocche, senza significato, ho peccato di leggerezza», ha ammesso. Ma a prendere l’iniziativa fu «la collega Sara Pausini: disse che mi voleva fare due scatti trasgressivi in divisa. Non so perché poi me li spedì». Ultimo capitolo: la Calderoni. «Ero l’infermiera di turno quella mattina», e l’ultima volta da viva la vide per un’analisi del sangue urgente e per la successiva somministrazione di vitamina ‘k’, il Konakion: «Lo preparai io». Poco dopo la Calderoni morì. La domanda del presidente della corte è diretta: «L’ha uccisa lei?». Laconica la risposta: «No».