Lunedì 17 Giugno 2024
NINO FEMIANI
Cronaca

Incendi in Italia, chi sono i piromani e perché rimangono impuniti

Dietro i roghi c’è la volontà di allargare terreni coltivabili e pascoli. Il Corpo forestale: "Non sono malati di mente"

“Che i piromani siano criminali senza scrupoli è noto. Che troppo spesso la facciano franca, pure. Che quando vengono presi dovrebbero ricevere ben altre pene, lo pensiamo tutti". A scriverlo due anni fa fu l’allora presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, che oggi ha cambiato casacca istituzionale, indossando quella di ministro per la Protezione civile. A non cambiare sono però le premesse: nel 2021 sono stati 5.385 i reati accertati, solo 16 le persone arrestate. E la Sicilia continua ad essere la regione più colpita dalle fiamme di origin e dolosa (81.590 ettari bruciati, il 51,3% del totale nazionale – dati Legambiente).

Incendio in provincia di Messina
Incendio in provincia di Messina

Secondo la stima elaborata dal Corpo forestale e dai vigili del fuoco, le cause dei roghi sono da ricondurre per l’1 per cento a cause naturali, per il 34 per cento a negligenze e il restante 65 ad azioni dolose; in soldoni, due incendi su tre sono intenzionalmente provocati. Ma allora perché non si prendono i colpevoli? E soprattutto chi sono i piromani?

"Esiste una sostanziale differenza fra il piromane, che ha un movente di origine psicopatologica, e un incendiario che giustifica i propri atti a delinquere con motivazioni economiche, di vendetta o per semplice azione teppistica – spiega Gino Rullo, della Direzione generale delle Risorse Forestali della Sicilia orientale –. Ormai alla s toria del piromane come malato di mente che sente il bisogno di vedere le fiamme non crede quasi più nessuno: causare un incendio è quasi sempre un mezzo per arrivare ad un fine programmato". Tra i tanti incendi che hanno riempito in questo scorcio di estate le pagine dei quotidiani, pochi, forse nessuno, sono stati originati da cause naturali o disattenzioni, come i famosi mozziconi di sigaretta gettati a terra ancora accesi o la canicola lancinante. Più realistico, invece, è che a scatenare le fiamme sia l’agricoltore (come l’anziano arrestato ieri nell’Ennese e che ha tentato di corrompere il carabiniere che lo ammanettava) che intende distruggere ettari di bosco per avere più terreno coltivabile o il pastore che così facendo immagina di assicurarsi futura area erbosa per le greggi o infine una lite di vicinato.

Negli ultimi anni si sta facendo largo la figura dell’ecoterrorista che vorrebbe con i roghi allontanare i turisti da aree di pregio, mentre diventa più complicata la posizione degli speculatori dopo l’approvazione della legge n. 353 del 21 novembre 2000 che vieta di modificare la destinazione d’uso per 15 anni delle aree bruciate e impone di non costruire per 10 anni su zone incendiate anche se edificabili. Per fare questo, però, occorrerebbe che Comuni e Regioni, come previsto dalla legge, facciano un censimento delle aree incendiate in modo da poter sempre vietare un diverso utilizzo dei terreni interessati, introducendo nel contempo un aggiornamento del catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco. Non sempre questo avviene.

Infine per scovare i piromani - per i quali pure è previsto il carcere dai 4 ai 10 anni - occorre puntare sulla tecnologia (uso diffuso dei droni e videosorveglianza) per incrementare il monitoraggio di quelle aree dove non c’è sorveglianza. Come rileva Coldiretti, la maggioranza dei boschi si trova senza sorveglianza per l’assenza di qualche agricoltore che possa gestirli. E questo in un Paese come l’Italia dove più di un terzo della superficie, 11,4 milioni di ettari, è coperta da boschi e 1 su 3 (32%) fa parte di aree protette.