Venerdì 26 Aprile 2024

In aula a Genova

Migration

Massimo

Donelli

Genova, 7 luglio 2022, prima udienza per la strage del Ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 inghiottì le vite di 43 persone. Davanti a Palazzo di Giustizia posano in 15 per uno scatto senza gioia, i visi segnati da un dolore che non se ne andrà mai. Sono i parenti delle vittime. E sopra le loro teste campeggia, in maiuscolo, la parola giustizia. Un’immagine davvero emblematica.

Sono passati appena sette giorni, infatti, dall’ennesima e non definitiva sentenza sulla strage di Viareggio, il disastro ferroviario che il 29 giugno 2009 provocò un incendio gigantesco e costò la vita a 32 persone: tredici anni e non sappiamo ancora chi è colpevole e chi no. Precedente inquietante. Che a Genova rischia di ripetersi. Ieri, infatti, la prima udienza è stata aperta e subito aggiornata al 12 settembre. L’ultima è in calendario il 19 luglio 2023, quando mancheranno 26 giorni al quinto anniversario della strage.

Quanto tempo ci vorrà per avere la sentenza di primo grado? E quando ci sarà il sigillo giudiziario della Cassazione (lì si andrà a finire) per questa storia infame di un crollo ampiamente annunciato? Meritano giustizia i morti. Meritano giustizia i famigliari. Meritano giustizia i 59 imputati. Meritiamo giustizia tutti. Perché questo processo, quello per la strage di Viareggio e il prossimo, quello per la strage della funivia del Mottarone (domenica 21 maggio 2021, 14 morti), danno la misura della credibilità di un Paese. A cominciare, appunto, dal funzionamento della sua macchina giudiziaria.

Sarebbe bello, perciò, che da Genova arrivasse una seconda lezione. La prima, lo ricorderete, fu impartita dal sindaco-commissario, Marco Bucci, 62 anni, ex manager dal piglio decisionista. Bastarono 623 giorni – meno di due anni dal crollo – per ricongiungere i versanti della Valpolcevera. Bastarono 309 giorni – meno di un anno dall’inizio dei lavori (15 aprile 2019) – perché i 1.067 metri del nuovo ponte, con 18mila tonnellate di acciaio distribuite su 19 campate e sorrette da 18 pile in cemento armato, si trasformassero da magnifico disegno dell’architetto Renzo Piano in stupefacente realtà. Sì, stupefacente. Perché, di solito, per un’opera così, occorrono tre anni.

La politica, quindi, ha fatto la sua parte. Ora tocca alla magistratura. Dalla quale ci attendiamo uno sforzo straordinario per dimostrare che l’Italia, quando vuole, quando sgobba, quando serve, sa far meglio di tutti. Massimo supporto di risorse per la corte, quindi. Udienze anche il sabato. Ferie congelate. E, naturalmente, grande accuratezza nella ricerca della verità. Si può fare, no? O chiediamo troppo?