Venerdì 26 Aprile 2024

Il turista che torna per combattere "L’Ucraina è casa mia, so cosa fare"

Era in Messico con la compagna, hanno accorciato le vacanze. "Adesso raggiungo i miei amici al fronte"

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di Salvatore Garzillo

MEDYKA (Polonia)

"Non ho molto tempo, mi stanno aspettando dall’altra parte. I miei amici stanno già combattendo". Ha una giacca che sembra troppo leggera per il freddo che lo attende, il suo sguardo salta da una parte all’altra della strada, come quello di chi ha davvero una gran fretta. Nel suo caso, è fretta di combattere. Il nome non vuole dirlo. "È già tanto, troppo, averti lasciato la mia immagine. Ma chissà cosa sarà di me. Facciamo così, tu chiamami Dima". Alle 12.10 di un lunedì di guerra, Dima varca la soglia della frontiera con l’Ucraina da Medyka, cittadina polacca che in questi giorni assiste all’esodo di centinaia di migliaia di persone che fuggono dalle bombe. Dima va nel senso opposto con uno zainetto in cui ha messo poche cose. "Il resto, quello che davvero mi serve, lo troverò lì".

Quello che gli serve davvero sono le armi per affrontare i russi.

"Sono un ex militare, conosco la guerra e come si combatte. Posso essere utile al mio Paese, agli amici, ai miei genitori che sono ancora in Ucraina". Sono in tanti, come lui, ad andare contro la corrente, risalendo un fiume che diventa sempre più impetuoso e imprevedibile. "Ero in vacanza in Messico con la mia compagna quando abbiamo saputo dell’attacco. Abbiamo ridotto la permanenza da 16 a 4 giorni per tornare a casa e combattere. Non avevamo scelta". È proprio la moglie a dirgli di sbrigarsi, gli tira il braccio con ansia puntando verso l’ingresso. Lei parteciperà alla resistenza, ma non vuole specificare con quale ruolo.

Paura? "Tutti hanno paura – risponde Dima senza esitazione –, ma non c’è altro da fare. Scusa non posso restare ancora, ci sono persone che mi stanno aspettando". Saluta l’amico che lo ha accompagnato fino alla frontiera – "spasiba!" – e parte veloce. Anche lui ha paura, ma di non rivederli più. "Entrare è semplice, la cosa difficile è uscire", sintetizza senza neppure fermarsi. Andriy, un cameraman nato e cresciuto nella regione di Kiev, conosce benissimo le difficoltà, ma come Dima non ha resistito. "È il mio Paese, devo rientrare". È stato sorpreso dalla dichiarazione di guerra mentre era in giro per l’Europa per lavoro. "Sono un videomaker e non ho mai preso un’arma in vita mia, ma potrei essere d’aiuto in tanti modi". Per esempio con la propria telecamera. "Nella mia valigia ci sono solo qualche vestito caldo e l’attrezzatura tecnica, raccontare quel che sta succedendo davvero in trincea potrebbe essere più deflagrante di una bomba".

Nei pochi minuti che trascorriamo assieme almeno 200 persone sono riuscite a mettere piede sul suolo polacco. Donne, bambini (anche neonati), anziani e moltissimi stranieri. Marocchini, indiani, perfino afghani come Abdul Samad, che era scappato dalla guerra in Medio Oriente e ora è costretto a fuggire dalla civilissima Europa. "Non sono proprio un uomo fortunato – riesce a scherzare –, ma sono ancora vivo", commenta con il filo di voce rimastogli dopo aver percorso 80 chilometri a piedi, senza dormire per giorni e mangiando pochissimo. È avvolto in una coperta di una fantasia tigrata, spuntano appena gli occhi dal fagotto che tenta di riscaldarsi attorno a un fuoco di fortuna alimentato da sterpaglie e rifiuti di ogni tipo abbandonati in giro. Tutto attorno sembra un grande bazar d’emergenza, con sacchi pieni di beni di prima necessità portati dai volontari, gente che offre cibo, passeggini e giocattoli. "I miei programmi ora?" si domanda Abdul. "Riesco solo a pensare a come salvarmi, tutte le mie energie sono concentrate su quello. Qui puoi sopravvivere alle bombe ma morire per il freddo. Per molti di noi non è ancora finita".