Mercoledì 24 Aprile 2024

Il senso del Natale L’idea religiosa è svanita Resta solo una fiaba laica

I simboli della tradizione spuntano dappertutto, ma hanno perso il loro significato sacro. La secolarizzazione della società lascia spazio a nuovi culti e riti consacrati al consumismo

Migration

di Franco

Cardini

Christmas Carol, Jingle Bell, We wish you a merry Christmas, White Christmas, Last Christmas, e così via. Sotto questa cascata di canzoni natalizie che sanno un po’ di New York un po’ di Hollywood noialtri, abitanti di un’ormai felice colonia della periferia statunitense, ci siamo magari dimenticati il vecchio Stille Nacht e soprattutto il caro Tu scendi dalle stelle, le povere “capannucce” casalinghe d’una volta e le nenie degli zampognari. Con l’arrivo del tempo natalizio, allorché una volta la Chiesa entrava nelle quattro settimane penitenziali dell’Avvento e delle novene mentre nelle nostre strade si spandeva il caro profumo delle caldarroste, il mondo che ha eletto a suoi santuari i Centri Commerciali impazzisce: gli abeti natalizi, ormai rigorosamente in fibra sintetica per ragioni ecologistiche, spuntano dappertutto e tutti ci prepariamo a quello che, più che “Xmas Day” bisognerebbe chiamare “Business Day”. Ai simboli del Natale siamo abituati e ci sconcerteremmo, se ci venissero a mancare: l’abete carico di luci e di decorazioni policrome, la stella cometa, il presepe con il Bambino, i pastori e i magi.

LE POLEMICHE SUL PRESEPE

Qualche anno fa, di questi tempi nascevano ritualmente le polemiche: c’era sempre qualcuno che si preoccupava della sensibilità religiosa dei non-cristiani costretti a subire il bombardamento sistematico – specie nelle scuole – di una religione diversa dalla loro. Se ormai queste voci dissonanti si sono praticamente azzittite, d’altronde, ciò non dipende da un ormai conquistato maturo senso di tolleranza, bensì dal fatto che si va definitivamente cogliendo il senso della perdita di significato religioso di quei simboli. Il loro carattere cristiano è stato in parte rimpiazzato dal “ritorno” del significato pagano dell’Albero Solare del solstizio, auspice di un anno che si rinnova nell’Eterno Ritorno del tempo ciclico, in parte obliterato in una cascata di stelle comete che solo indirettamente e alla lontana ricorda la pagine dell’evangelista Matteo che descrive la Natività (e nella quale di “cometa” non si parla) e in improbabili défilé di magi abbigliati in fogge esotico-postmoderne alla Harry Potter; dappertutto, fantasiose luminarie alla Luna Park o alla Burger King, che poco ormai hanno di sacro.

LA FIABA LAICA

Ma se e nella misura in cui tutto questo scintillante ciarpame non è più sorretto dall’idea religiosa (o se si vuole mitico-religiosa) del Re dell’Universo che ogni anno ricompare a salvarlo e dell’incarnazione della luce rigeneratrice della Povertà e dell’Innocenza capace di sbaragliare le tenebre della vana Potenza e della violenta Ricchezza. Sopravvive la “fiaba laicizzata” nella quale brandelli di simboli sacri divenuti ormai illeggibili navigano nel mare dell’opulenza consumistica. E ci si nasconde dietro l’alibi della libera educazione al laicismo o del rispetto delle fedi “altre” per cancellare quel che resta della nostra memoria. E insomma – ebbene, sì… – della nostra identità.

A quale scopo, infine? Attenzione: queste cose sembrano moderne, invece sono fradice di stantìa vecchiezza, di decrepito conformismo. È almeno dal XVIII secolo che poteri costituiti e “intellettuali progressisti” (philosophes, si diceva allora) fanno la guerra alle feste religiose, additate al ludibrio della gente colta e intelligente in quanto momenti d’ozio, interruzioni nella catena di produzione, scuse per eccessi alimentari – quelli di chi poteva permetterseli solo pochissime volte all’anno – e per allegri sprechi di danaro in bevute e in giochi d’azzardo.

Non si è riusciti a sradicare l’amore per le feste natalizie. Allora ci si è accontentati di seccare da un lato le sue radici mistiche e devozionali e d’incentivare dall’altro la sua tendenza allo spreco e alle spese che aveva d’altronde a sua volta lontane origini in quanto nella Cristianità occidentale il dies natalis (“Natale”, appunto) del Dio Bambino aveva assorbito, obliterato e metabolizzato le feste del Solstizio d’Inverno che nella Roma imperiale salutavano l’inizio del nuovo ciclo siderale dell’astro diurno e che si salutavano con banchetti e scambi di reciproci presenti all’interno di quella che gli antropologi hanno definito “Civiltà del Sono”.

CULTI E RITI NUOVI

Come può sembrar paradossale mentre viceversa regolarmente accade, la desacralizzazione rispetto al cristianesimo andava e continua ad andare di pari passo con la creazione di nuovi culti e di nuovi riti consacrati al consumo dei beni. In un mondo caratterizzato dal crescente divario tra i pochi arciricchi e i troppi superpoveri, gli idoli della nostra antica fede si travestono da sosia blasfemi del culto divino: e l’abito vagamente lappone dell’immaginaria divinità consumistica, “Papà Natale”, porta ancora i colori rosso e bianco del vescovo san Nicola (“Santa Klaus”), antico dispensatore di doni: ma il suo giaccone d’armellino, il suo berretto foderato di pelliccia, i suoi stivaloni lucidi, vengono sempre più spesso indossati da sorridenti e succinte ragazze, pon pon girls dei Campi Elisi dei Centri Commerciali e Angeli del Fatturato. Lo stesso accade con lo stravolgimento della vecchia cara Festa d’Ognissanti nell’osceno e ripugnante Halloween. Così vanno perdendosi le tradizioni; così, fatalmente, si spengono le civiltà. Questa è la cultura del consumismo, rovesciamento della “Civiltà del Dono” nella quale ateismo postmoderno e neopaganesimo dello sperpero che suona offesa e irrisione alla miseria dilagante nel mondo. Ogni tempo ha i Paradisi che sa immaginare e che si merita. E, come diceva Umberto Eco, non è che quando una cultura smette di credere in Dio poi non crede più in nulla. Al contrario, comincia a credere in tutto. Anche nelle più ridicole nefandezze.