Giovedì 25 Aprile 2024

Il prof dei detenuti: "Insegno a killer e mafiosi. Ogni laurea è una gioia"

Giancarlo Monina porta l’università in carcere: tutti hanno diritto di imparare "Lo studio fa crollare la recidiva. Indimenticabili le lacrime dopo la tesi"

Il livello di istruzione in carcere

Il livello di istruzione in carcere

Da Salvatore Parolisi a Rudy Guede, da Angelo Izzo a Winston Reyes, fino a Federico Ciontoli. La lista dei detenuti noti che si sono iscritti all’università dietro le sbarre è lunghissima e lui, Giancarlo Monina, 57enne professore di Storia contemporanea, ne ha accompagnati molti verso la laurea. "Ma per motivi di privacy non posso fare nomi", spiega. Monina è il delegato dell’ateneo Roma Tre per la formazione universitaria negli istituti penitenziari: attualmente segue 80 carcerati a caccia del titolo di studio più alto, con una media di 5 laureati all’anno. Sotto la sua gestione l’ateneo capitolino è arrivato al terzo posto in Italia per numero di iscritti, dietro alla Statale di Milano (100) e alla Federico II di Napoli (90).

Qual è la laurea che le ha dato più soddisfazione?

"L’ultima. Uno studente di 34 anni di Filosofia. L’ho visto crescere in consapevolezza e capacità. Sta per uscire dal carcere e ha deciso che studierà ancora: si è laureato con 110 e lode, tesi sul Giappone contemporaneo. Venendo dal circuito della malavita all’inizio faceva lo sbruffone, si pompava i muscoli in palestra: io ho visto la metamorfosi, in lui è emersa una dolcezza inattesa. Ha cambiato il registro della solidarietà: dall’omertà al sostegno dei compagni. Ha avuto un permesso per discutere l’elaborato e le lacrime di quel giorno sono indimenticabili".

Ha mai vissuto situazioni di rischio?

"Ci sono stati momenti di tensione. Alcuni detenuti non hanno strumenti sviluppati di mediazione, ma non è molto diverso rispetto alle scuole classiche".

Che tipo di persone trova in ’aula’?

"La varietà delle figure in carcere è simile a quella che si trova tra gli studenti liberi. Un detenuto volenteroso, però, è più motivato di quanto non lo sia uno in libertà. Molti sentono la necessità del riscatto e della rieducazione, a volte in modo strumentale per avere benefici. Ma per avere ‘sconti’ serve aver fatto esami, non solo iscriversi. In generale i carcerati sono rispettosi verso i docenti, hanno un grande senso di gratitudine se vedono un impegno concreto".

Ha avuto davanti a sé stupratori, pedofili, serial killer. Come riesce a rimanere impassibile?

"Insegno a pedofili e stupratori, ad assassini e mafiosi: lo faccio per dovere d’ufficio, farò sempre lezione a chiunque perché è un diritto universale. Si può partire da un pregiudizio, ma tutti diventano uguali agli altri quando si tratta di didattica. Io non chiedo mai che reato hanno commesso, voglio restare super partes. Gli assassini? Hanno storie incredibili e ho le mie curiosità, ma non cambia nulla: davanti ho studenti. Alcuni mi hanno rivelato i loro ‘peccati’, ma spesso succede perché si sentono ingiustamente dentro".

Si ricorda il primo impatto?

"La prima volta è indimenticabile: senti i cancelli che si chiudono, quel tintinnio metallico, il brusio delle voci e l’eco, svuoti le tasche e lasci tutto in portineria. Quindici anni fa ho salito i leggendari ‘tre scalini’ di Regina Coeli; nel mondo criminale si dice “se non sali i tre scalini, non sei davvero romano“. Poi scopri un mondo duro, difficile".

Perché ha scelto di insegnare dietro le sbarre?

"Tenevo un corso al Dams e il rettore nel 2006 mi chiese di seguire un detenuto, alla fine portai due ragazzi di Regina Coeli alla laurea. L’esperienza mi incuriosì molto, così estesi il mio ruolo: avendo una certa sensibilità, diventai delegato dell’ateneo".

Ai condannati che tornano in libertà il titolo di studio serve?

"All’esterno chi usa la laurea è una parte residuale. Però, tra chi ha studiato crolla il numero di quanti commettono di nuovo un reato".

Cosa si può migliorare nel percorso universitario?

"Una falla è che non seguiamo i laureati all’esterno. Bisogna avviare progetti e accompagnarli nel nuovo mondo, perché chi ha studiato ha una grande voglia di ricominciare".

Qual è stata la sua più grande delusione?

"Un mio laureato che all’esterno ha proseguito a delinquere. A quel punto ti poni un problema: con lo studio, io l’ho aiutato a potenziare la sua astuzia criminale? La risposta, però, è sempre la stessa: ne vale la pena, noi siamo docenti".

Quanti anni hanno i suoi studenti?

"Si va dai venti ai 70, con quasi la metà di over 40. Vogliono occupare il tempo, allargare l’orizzonte mentale o fare bella figura con i figli e la famiglia. Devono farsi perdonare qualcosa".

Quali sono i corsi più gettonati?

"Scienze della comunicazione, Giurisprudenza, Scienze dell’educazione ed Economia".

È rimasto legato ad alcuni studenti?

"Un ucraino, del quale non so la storia giudiziaria ma aveva qualcosa di pesante alle spalle, studiava Filosofia e venne trasferito a Torino. Avevamo tenuto un rapporto epistolare e mi chiese di fargli da correlatore. Alla sua tesi mi ha detto: “Grazie prof, se lei non mi avesse convinto a iscrivermi all’università, sarei ancora un criminale". Ora fa il traduttore per connazionali con le associazioni umanitarie ed è ben inserito nel mondo".

Giancarlo Monina
Giancarlo Monina