Giovedì 25 Aprile 2024

Il prefetto: tredici anni sono troppi "Ma Lucano si sentiva intoccabile"

Quando era al Viminale, Morcone inviò centinaia di migranti a Riace: "Lui ha creduto di essere al di sopra della legge"

di Nino Femiani

"Quella pronunciata al tribunale di Locri è una sentenza sconvolgente, fuori misura. E posso dirlo perché conosco, profondamente e da tanti anni, Mimmo Lucano, un uomo da sempre impegnato sul piano dei valori e dell’accoglienza". Il prefetto Mario Morcone, oggi assessore alla Sicurezza, Legalità e Immigrazione nella giunta regionale della Campania, ha lavorato a stretto contatto con Lucano, avendo avuto dal giugno 2014 al febbraio 2017 l’incarico di Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno.

Proprio in questa veste, Lucano l’ha tirata in ballo, dicendo: "Il prefetto Mario Morcone mi chiama e mi dice che deve mandarmi 500 persone, perché l’allora ministro Roberto Maroni non vuole che i rifugiati vadano a Milano". Cosa risponde?

"È certamente vero che dovevo ‘piazzare’ dei migranti e li mandavo dove trovavo disponibilità ad accogliere. E certamente ho chiesto a Lucano un aiuto a Riace, ma non è vero che gli ho mandato 500 migranti. Evidentemente le sue parole fanno parte di ricordi non corretti".

E il niet di Maroni?

"Ma no, anche questo non è vero. È evidente che io bussavo, in prima battuta, presso i sindaci che ero sicuro che avrebbero accolto i migranti, ma Maroni non c’entra nulla con tutto questo. La verità, quasi banale, sa qual è? Che c’erano sindaci disposti ad accogliere e altri che non lo erano, tutto qui".

Lucano è stato solo un superficiale o, come dicono i magistrati, a Riace ci sono state anche concussioni e truffe?

"A partire dal 2015, Lucano si è fatto prendere dall’ansia del suo ruolo".

Spieghi meglio.

"Ha immaginato e messo in pratica per sé un ruolo ‘eroico’, sopra le righe, troppo presente sui giornali. Chi lo ha sostenuto fortemente non l’ha aiutato a tenere i piedi per terra e a dirgli che ci sono regole amministrative che, piacciono o meno, vanno rispettate".

Chi lo avrebbe mandato allo sbaraglio?

"Un mondo ideologico che ha trasformato lui, sindaco di un piccolo centro, in eroe, citato dalla rivista Fortune, ammirato da Wim Wenders, poi mandato in udienza dal Papa e in Argentina. Cose fatte con impeto e passione, ma che gli hanno fatto smarrire il senso della realtà, facendolo sentire libero dalle procedure amministrative. Pensava che il valore delle sue scelte superasse le regole. Mimmo ha perso il contatto con la realtà, ma non è una cattiva persona".

Prefetto, uno degli ultimi suoi atti, prima di lasciare nel 2017 il Dipartimento per l’immigrazione, è stato quello di ordinare un’ispezione a Riace. È così?

"No, questo non è vero. L’ispezione l’ha disposta l’Anci, a cui afferisce la rete Sprar (è il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che il Viminale gestiva d’intesa con l’Anci, ndr). Gli venne contestato che faceva entrare nel sistema di accoglienza chi voleva lui e commetteva errori nelle rendicontazioni. Difetti di carattere amministrativo".

Però poi ci sono stati i controlli della Prefettura e l’inchiesta della Procura di Reggio.

"A seguito dell’accertamento di alcune irregolarità, la Prefettura mandò le carte in Procura".

Prima che si accumulasse questa montagna di carte bollate e si finisse nel penale, non era possibile chiamare Lucano e spiegargli che non giocava né bene né per la squadra?

"È quello che abbiamo più volte cercato di fare, lo stesso ministro Minniti lo aveva invitato a cercare delle soluzioni compatibili con la legge. Io personalmente l’ho convocato al Viminale un paio di volte e gli ho detto: ‘Guarda ti aiutiamo, ti mandiamo un funzionario che ti mette a posto le carte, ti consiglia’….".

Qual è stata la sua risposta? "Era già partito per la sua missione di solidarietà mondiale e non ha voluto sentire ragioni".

Ostinato?

"Vittima della sua ostinazione e dell’aver creduto che la moralità del suo obiettivo finale potesse superare le regole. Minniti ha cercato più volte di dargli una mano, ma lui ormai si era immerso totalmente nel ruolo di salvatore".