Mercoledì 24 Aprile 2024

Liste centrodestra, Berlusconi premia i fedelissimi. Giorgia allarga l’orizzonte

Forza Italia e Lega devono fare i conti con la riduzione dei posti, molti malumori. Fratelli d’Italia attinge a storici esponenti azzurri come Tremonti e Pera

Silvio Berlusconi e la compagna Marta Fascina, candidata in Sicilia (Ansa)

Silvio Berlusconi e la compagna Marta Fascina, candidata in Sicilia (Ansa)

Per fortuna la legge imponeva un termine; in caso contrario, lo psicodramma azzurro sarebbe continuato per giorni. Invece le liste di FI sono pronte: accolte all’interno del partito più con strepiti e proteste che applausi. Desertificate dalla siccità di posti, le liste sono state uno sterminio. Fuori Andrea Ruggieri: sostiene che non gli sia stato chiesto di presentarsi per fare numero. Fuori Renata Polverini, che ha rifiutato un posto perdente. E poi Moles, Giro, l’ex assessore regionale lombardo Gallera. Bergamini c’è ma per modo di dire (proporzionale in Toscana,) Giacomoni rischia forte, traballa persino l’avvocato del Cavaliere, Sisto. A conti fatti la scelta di Berlusconi è caduta o su potentati locali intoccabili come quello di Miccichè in Sicilia e Tosi in Veneto oppure su esponenti della cerchia ristretta di cui si fida ciecamente. Per il resto anche la vecchia guardia è stata decapitata. Ripescati più o meno in estremis Stefania Craxi, Gasparri, Prestigiacomo, Giammanco e l’ex governatore leghista Roberto Cota.

Disco verde per il plotone dei fedelissimi: da Tajani a Ronzulli, passando per Bernini, Fascina, Barelli per arrivare alla new entry Paolo Emilio Russo, punta di diamante della comunicazione azzurra. Sicura anche Rita Dalla Chiesa, scesa dal cielo (e dal Grande Fratello Vip) all’ultimo momento e accolta con vivace disappunto dalla popolazione azzurra locale. In fondo le scelte del vertice azzurro rispondono a una logica politica e non solo numerica. Se è vero che FI è stata sempre il partito di Berlusconi è anche vero che negli anni del gran fasto al suo interno c’era di tutto. Oggi – causa crollo dei consensi – resta solo il partito di Silvio. Ed è logico che a essere premiati siano i suoi alter ego e i dirigenti che negli ultimi quattro anni si sono dimostrati di fedeltà inossidabile.

Il rischio di uno smottamento dell’elettorato tradizionalmente azzurro costituisce per la leader della coalizione di destra, Giorgia Meloni, sia un motivo di allarme sia un’occasione da cogliere. Nella compilazione delle liste ha pescato nell’antica aristocrazia forzista, per appartenenza o per continuità politica: Marcello Pera, Giulio Tremonti, Eugenia Forcella, Raffaele Fitto (già ingaggiato per l’Europa da FdI); persino l’ex pm Nordio che forzista non è mai stato ma incarna la continuità con la linea ’garantista’ del Cavaliere. O Giovanni Crosetto, nipote di Guido (ex forzista, tra i fondatori di FdI). L’obiettivo della Meloni è quello di offrire una sorta di sponda centrista interna all’elettorato orfano di Arcore ma è anche di adeguare la sua rappresentanza politica a esigenze diverse da quelle del 2018, quando FdI era solo un piccolo partito della destra radicale. Oggi si tratta di fornire anche nei nomi e dalla fisionomia del partito assicurazione ai poteri nazionali e sovranazionale che guardano con preoccupazione all’ascesa di una leader che fino a ieri era la ’Le Pen italiana’. Rinnovare, ma senza fratture e senza rinnegare il passato, sia nella scelta di rivendicare la fiamma del Msi sia in quello di confermare per interno i gruppi parlamentari uscenti (da La Russa a Lollobrigida, passando per Rampelli, Donzelli e la Santachè) è palese l’intenzione di mantenere un legame forte con le origini. Di qui una quantità di ritorni (Andrea Augello e Roberto Menia) o di nuovi ingressi omogenei: Andrea Tremaglia, nipote di uno storico esponente come Mirko. Quello a cui mira non è un partito in discontinuità con il Msi di Giorgio Almirante ma un Msi rinnovato, adeguato ai tempi e in grado oggi di imporsi.

Anche la Lega di Salvini scommette sulla continuità non solo del personale politico ma soprattutto della offerta gli elettori. Il modello del Capitano è in fondo quello del populismo del decennio scorso, intreccio di politiche securitarie, ma anche capace di intercettare alcuni temi sociali. Non stupisce che, con l’eccezione di un paio di nomi di richiamo (come il presidente dell’Unione Ciechi Mario Barbuto o l’ex pallavolista Luigi Mastrangelo) abbia confermato quasi per intero la squadra uscente. Non significa che non abbia usato pure lui l’accetta e che non ci siano anche nel Carroccio malumori. "Il seggio di Giorgetti è blindato", rivendica il leader leghista. Ma per gli esponenti vicini a Giorgetti invece s’è trovato pochissimo posto. Un fan di Draghi, specie se è un dirigente di prestigio, per Salvini va bene, ma un gruppo di dissidenti no.