Mercoledì 24 Aprile 2024

I soldi a pioggia alla fine lasciano scorie

Gabriele

Canè

Eppure verrà un giorno che in Italia potremo vivere, produrre, crescere, senza ricorrere ai bonus. Speriamo. Dobbiamo. Perché è vero che il bonus è una specie di integratore che dà forza all’organismo della nostra economia. Peccato che tutto ciò costi alla collettività più di quello che la crescita fa incassare allo Stato, e che dunque a un certo punto (di non ritorno) qualcuno debba alzare la paletta e dire: stop, se continuiamo a spendere per questa voce, non c’è più un euro per tutte le altre. È questa la logica, il "binario sensato" di cui ha parlato ieri Giorgia Meloni, e che ha spinto Palazzo Chigi a chiudere il capitolo 110%, come già Draghi aveva ipotizzato. Chiusura traumatica dentro e fuori il governo. Dentro per i rapporti tra alleati, con Forza Italia, oramai ex punto di equilibrio della coalizione, sempre più insofferente che si parli di sostegno all’Ucraina o alle impalcature dei cantieri. E fin qui, pazienza. Peggio, molto peggio, il contraccolpo che il provvedimento può avere sul mondo delle imprese, soprattutto per i tanti lavori fatti con crediti rimasti in sospeso: "esodati", come le "vittime" della Fornero messe a casa senza pensione. Un crinale su cui ballano migliaia di aziende e di occupati, fermo restando che da ora in poi è finita la pacchia demagogica di Pantalone che paga le ristrutturazioni a ricchi e poveri, a qualunque prezzo. Una specie di reddito di cittadinanza delle facciate. Oggi il governo incontrerà le parti sociali. Bene, tutto è perfettibile, e il problema di questo "mondo di mezzo" va risolto. Soprattutto si capirà se e come sarà percorribile la strada maestra indicata da banche e costruttori (Abi e Ance), cioè di come si possano trovare nel diritto nazionale ed europeo nuovi spazi fiscali per evitare le bancarotte. L’ottimismo è d’obbligo. Poi, basta bonus o simil tali. Che quando finiscono, come tutte le droghe, lasciano ferite. E tasche vuote.