Mercoledì 24 Aprile 2024

I cold case e i segreti in chiesa Pista religiosa anche nel caso Cella

Dieci preti dai pm, l’ipotesi: erano venuti a conoscenza del delitto. Sequestrato dopo 25 anni lo scooter dell’ultima indagata

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di Gabriele Moroni

Potrebbe essere arrivato in un confessionale e in certi ambienti religiosi il segreto sulla morte di Nada Cella, la segretaria ventiquattrene uccisa il 6 maggio del 1996 nello studio del commercialita Marco Sorracco, a Chiavari. Sono una decina i sacerdoti ascoltati dal sostituto procuratore Gabriella Dotto, titolare del fascicolo per omicidio volontario dove è iscritto il nome di Annalucia Cecere, 53 anni, ex insegnante. Sullo scooter della donna la polizia scientifica effettuerà la prova del luminol e altri accertamenti. La gelosia sarebbe stata il movente dell’omicidio. La procura ha incaricato il genetista Emiliano Giardina, il professore dell’Ignoto 1 di Yara Gambirasio, di estrarre e comparare il Dna trovato in vari reperti. Oltre a Cecere, difesa dall’avvocato Giovanni Roffo, sono indagati il commercialista Marco Soracco e l’anziana madre. I due, difesi dall’avvocato Andrea Vernazza, sono accusati di false dichiarazioni al pm per avere mentito sui reali rapporti tra il professionista e l’ex insegnante. A fare riaprire il caso è stata la determinazione della criminologa Antonella Pesce Delfino, insieme all’avvocata Sabrina Franzone, che ha riletto gli atti della vecchia indagine scoprendo particolari sottovalutati ed errori macroscopici. Ma le parole raccolte raccolte tra i sacerdoti ascoltati avrebbero avuto un ruolo chiave.

Come in un romanzo di Bernanos. La penombra protettiva di una chiesa. Il silenzio di una sacrestia. Un segreto nel sussurro di una confessione. La confessione dell’omicidio Calabresi. Cresciuto con una educazione religiosa, Leonardo Marino vorrebbe affidarla a un sacerdote. Pensa a don Regolo Vincenzi, parroco di Bocca di Magra. Riesce a parlargli soltanto di rimorsi che lo perseguitano. Il momento del sacramento della confessione sarà dopo la scarcerazione e prima del processo, davanti a un vecchio prete.

Lidia Macchi sta per compiere 21 anni. Vive a Varese. Studia al secondo anno anno di giurisprudenza alla Cattolica. È capo scout e militante di Comunione e liberazione. Sparisce la sera del 5 gennaio 1987. La ritrovano in un bosco alla periferia di Cittiglio, martoriata da ventinove coltellate. La pista del maniaco viene percorsa e abbandonata per puntare sull’entourage della vittima. Il "lancio" Ansa porta la data di venerdì 26 giugno 1987, orario 20.22: "La curia arcivescovile milanese ha confermato stamane che quattro sacerdoti varesini sono stati interrogati nei giorni scorsi dal sostituto procuratore della Repubblica di Varese dott. Agostino Abate, nell’ambito dell’inchiesta sulla morte della studentessa Lidia Macchi". I quattro preti e un laico sono stati trattenuti "chi per dodici, chi per quindici e chi addirittura per ventiquattr’ore" e "tutto si è concluso senza che siano emerse novità sostanziali". I cinque sono solo testimoni, ma la polemica è immediata, rovente. Con un esposto, un prestigioso legale, il professor Federico Stella, chiede che la procura generale avochi l’inchiesta. È scontro toghe contro tonache. L’inchiesta resta a Varese.

Un corpo nascosto per oltre sedici anni nella soffitta di una chiesa, a Potenza. Elisa Claps, sedicenne, la mattina di domenica 12 settembre 1993 ha appuntamento alla chiesa della Santissima Trinità con Danilo Restivo, un ventunenne suo tenace e non corrisposto corteggiatore, che le ha promesso un regalo. Qualche ora dopo il giovane si presenta in ospedale con una ferita sul dorso di una mano e i vestiti imbrattati di sangue. Sospettato, additato, Restivo rimane libero. Il 17 marzo del 2010 il parroco della Santissima Trinità avverte che nel sottotetto della canonica è stato trovato un corpo mummificato. È Elisa Claps, uccisa con tredici coltellate. Com’è possibile che sia rimasta per tanto tempo nella soffitta all’insaputa di tutti? "Non ha potuto fare tutto da solo. È arrivato il momento di pulirsi la coscienza", commenta Filomena Iemma, la madre di Elisa, dopo la sentenza che ha condannato in abbreviato Danilo Restivo a trent’anni di reclusione. Viene avviata una inchiesta bis che vede indagate per falsa testimonianza le due addette alla pulizia della chiesa. Le parole del gup Elisabetta Boccassini suonano come il suggello a una verità occultata e negata: "È assolutamente impossibile credere che per tutti questi anni, nessuno si sia accorto della presenza di un cadavere nel sottotetto della chiesa SS. Trinità".