di Giovanni Rossi La paura di essere "il prossimo" attanaglia gli oligarchi di Russia. Perché oligarchi, a volte, si diventa, ma da oligarchi ultimamente si muore. E assai prima del previsto. Sei magnati al creatore in soli tre mesi è statisticamente uno zero virgola rispetto ai patrimoni finanziari accumulati all’ombra del potere e al numero dei loro detentori. Ma ad orecchie attente e occhi allenati il segnale è forte e chiaro. Chi è diventato straricco partendo da famiglie operaie e casermoni sovietici sa che per i miracoli servono complici silenziosi, non bastano intuito e capacità sincronizzate con la storia. E se a morire con i magnati sono a volte anche i familiari (sterminati senza pietà), l’allarme – tra chi detiene cospicue fortune – diventa strategico. Qualche socio occulto reclama dividendi o ricorda l’obbligo di fedeltà? Non esistono risposte, solo sospetti. Mikhail Watford (naturalizzato britannico con cambio di cognome dall’originale Tolstosheya), Vasily Melnikov (Medstom), Leonid Shulman (Gazprom Invest), Alexander Tyulakov (Gazprom), Sergey Protosenya (Novatek), Vladislav Avayev (Gazprombank) sono nomi di secondo piano per il grande pubblico. Anche in Russia. L’unico miliardario certo era Watford, gli altri erano tutti multimilionari, con patrimoni differenziati ma comunque ingenti. Certo, se hai capitali per 400 milioni, come Sergey Protosenya, l’ex presidente di Novotek trovato senza vita in Spagna il 19 aprile assieme alla moglie e alla figlia (il figlio si è salvato perché non era in casa), non prendi l’ascia per squartare le tue donne (preoccupandoti di non lasciare impronte) e poi ti impicchi in giardino. Per quanto le sanzioni brucino, le rendite evaporino, le carte di credito facciano cilecca – e la vita appaia meno sfavillante – chi arriva dal basso ha i cromosomi tarati per reagire. Se diventa cadavere, qualcosa non quadra. Anche senza scomodare mafie e apparati. Tutti omicidi-suicidi? Oppure – nel caso di singoli ...
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