Una giustizia che funzioni meglio vale almeno 10 miliardi in più di Pil l’anno per l’Italia, perché significa più investimenti, anche stranieri, più consumi, più concorrenza. Non è un caso che da anni Mario Draghi, anche da numero uno della Bce, insista sul valore "economico" (oltre che su quello costituzionale e politico) di una efficiente amministrazione della giustizia in tutti i suoi ambiti, soprattutto in quello dei processi civili.
E così, ugualmente, non c’è da stupirsi che, dall’intervento di insediamento in avanti, il premier abbia posto l’accento sul capitolo specifico del Recovery Plan italiano come una delle riforme-volano della possibile ripresa, da avviare innanzitutto attraverso una serie di leggi-delega da approvare entro l’autunno.
Si spiega, insomma, anche la celerità del ministro Marta Cartabia, che ieri ha fissato la rotta dell’operazione e la posta in gioco con i capigruppo di maggioranza delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. "Sulla durata dei processi, il governo di gioca tutto il Recovery – ha rimarcato la Cartabia –, non solo quello legato alla giustizia, perché quest’ultima è condizione perché arrivino in Italia, attenzione, non solo i 2,7 miliardi del Pnrr destinati alla giustizia, ma i 191 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana". Del resto, proprio il nodo giustizia è stato uno di quelli al centro del braccio di ferro finale Roma-Bruxelles sul Piano, sulla scorta di quelle Country specific recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, nelle quali la Commissione europea ha chiesto di "aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile" e "garantire una minore durata dei procedimenti penali". Tant’è che l’obiettivo-chiave della riforma è "ridurre i tempi dei processi del 40% per il settore civile e almeno del 25% per il penale".
Che effetti possa avere un risultato potenziale di questa portata sul sistema economico è indicato nero su bianco nelle tabelle e nelle considerazioni dello stesso Recovery. "Si stima – si legge nel documento – che una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50% possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10%. A livello aggregato, uno studio recente ha valutato che una riduzione da 9 a 5 anni dei tempi di definizione delle procedure fallimentari possa generare un incremento di produttività dell’economia italiana dell’1,6%". Non basta. "Una giustizia inefficiente peggiora le condizioni di finanziamento per famiglie e imprese: il confronto tra province mostra che un aumento dei procedimenti pendenti di 10 casi per 1.000 abitanti corrisponde a una riduzione del rapporto tra prestiti e Pil dell’1,5%".
Famiglie e imprese, insomma, hanno tutto da guadagnare da processi e procedure più veloci. Ma è l’economia nel suo complesso che può trarre vantaggi rilevanti. "I dati evidenziano una naturale e stretta compenetrazione intercorrente tra giustizia ed economia: qualsiasi progetto di investimento, per essere reputato credibile, deve potersi innestare in un’economia tutelata, e non rallentata, da un eventuale procedimento giudiziario, così come deve essere posto al riparo da possibili infiltrazioni criminali". Secca la conclusione: "Studi empirici dimostrano che una giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza, poiché accresce la disponibilità e riduce il costo del credito, oltre a promuovere le relazioni contrattuali con imprese ancora prive di una reputazione di affidabilità, tipicamente le più giovani". Inoltre, "consente un più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, poiché accelera l’uscita dal mercato delle realtà non più produttive e la ristrutturazione di quelle in temporanea difficoltà; incentiva gli investimenti, soprattutto in attività innovative e rischiose e quindi più difficili da tutelare; promuove la scelta di soluzioni organizzative più efficienti".