Giovedì 25 Aprile 2024

È giusto tenere il cognome del marito?

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Roberto

Pazzi

La notizia che Melinda Gates divorziando dal carismatico marito, chieda di mantenerne il prestigioso cognome, è segno di uno dei tanti cambiamenti della storia civile, in Occidente. E francamente ci pare un segno positivo, perché tende a conservare intatto il frutto di un’attività di lavoro comune fra marito e moglie, la quale può rivendicare il merito dell’aver contribuito alla costruzione dell’identità pubblica del consorte. La memoria, per misurare quanto le cose siano cambiate nel tempo, corre a famosi esempi di ripudio nel divorzio, come quello dello Scià dell’Iran da Soraya, che sparve dalla ribalta del potere per guadagnare il triste retaggio di “principessa triste”, diventando star di rotocalchi che lucravano sull’effetto compassionevole, in tante lettrici, del suo tramonto e della sua uscita di scena.

Non diversamente, nella lunga galleria dei divorzi più famosi, andando a ritroso nel tempo, spicca quello di Giuseppina Beauharnais, moglie di Napoleone, colpevolizzata del non aver potuto dare all’imperiale marito un erede, come era accaduto a Soraya, e aureolata pure di una malinconica aura pietistica. In genere, era sempre la donna a rimetterci, con un divorzio, relegata nell’ombra. Una sola eccezione, per restare in ambito regale, quella di Wally Simpson, la pluridivorziata americana che, proprio per la sua condizione civile, riuscì a far abdicare re Edoardo VIII d’Inghilterra, per diventare la duchessa di Windsor, regina dei rotocalchi.