Giovedì 25 Aprile 2024

Draghi rimuove lo stop alle trivelle Ecco dove sono i giacimenti

Finita la moratoria che durava dal 2019, il Ministero aggiorna la mappa delle aree ricche di idrocarburi

di Antonio Troise

Stop alla moratoria sulle trivellazioni che durava dal 2019. Con cinque mesi di ritardo sulla tabella di marcia, il ministero per la Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani ha finalmente pubblicato il decreto che dà il via libera al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, il cosiddetto Pitesai. Il provvedimento individua le aree dove sarà possibile riavviare prospezioni ed estrazioni di idrocarburi sospendendo la moratoria del 2019.

Detta così, però, la notizia non è completa. Infatti, il piano fissa anche criteri e vincoli molto rigidi per la difesa dell’ambiente e individua le aree naturali escluse dalle attività di ricerca. Oltre a restringere l’ambito della produzione al gas naturale, con l’obiettivo, non dichiarato di raddoppiare la produzione con altre 3 miliardi di metri cubi in più, il 10% del nostro fabbisogno.

"Arrivano regole certe", fanno sapere dal Ministero, anche se le associazioni ambientaliste sono già sul piede di guerra. "Lo stop alla moratoria delle trivellazioni in mare è un passo avanti, ma non basta. A breve, se vogliamo aumentare la produzione, saremo costretti a fare un nuovo provvedimento", dice il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, la città che si batte da anni per riprendere le estrazioni. L’hub dell’Alto Adriatico, che si estende dal Veneto all’Abruzzo, da solo vale ben oltre la metà del metano estratto in Italia.

Ma in concreto, quali saranno le aree dove partiranno subito le trivellazioni? In primo luogo saranno prese in considerazione solo le richieste arrivate dopo il 2010. Quelle precedenti non sono compatibili con le regole dell’impatto ambientale.

L’area terrestre su cui si applica il piano – si legge nel documento di sintesi – è pari al 42,5% del territorio nazionale. Le Regioni interessate sono: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana (solo due concessioni) e Veneto.

L’area marina interessata è pari all’11,5% delle zone aperte, quelle cioè dove è concessa la ricerca e la coltivazione di idrocarburi. Sotto i riflettori soprattutto le prospezioni in mare. Le aree interessate saranno quelle del Canale di Sicilia, le coste dell’Adriatico fra le Marche e l’Abruzzo, quelle di fronte alla Puglia e, il golfo di Taranto e quelle di Venezia. Per quanto riguarda la terraferma, potrebbero sbloccarsi una cinquantina di permessi di ricerca per quasi 12mila chilometri quadrati di territorio in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Molise e Puglia. Altri permessi di ricerca per 14mila chilometri quadrati vedono coinvolti Piemonte, Sicilia, Veneto e Marche.

Tra le aree che non potranno più essere interessate da attività di ricerca e coltivazione, le Regioni Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Liguria, Umbria, in parte Toscana e Sardegna, e a mare il 5% della intera superficie marina sottoposta a giurisdizione italiana.

Insomma, se l’obiettivo dichiarato è quello di razionalizzare e fermare "trivella selvaggia", è ovvio che con la crisi energetica in atto, l’impennata del prezzo del gas e, soprattutto la necessità di potenziare al massimo i giacimenti esistenti, il decreto potrebbe avere un altro effetto: quello di accelerare le trivellazioni e intensificare le estrazioni. E sicuramente non è un caso se, nel provvedimento, il ministero sottolinea che nel 2020 la produzione di gas naturale è calata dell’11,36% rispetto all’anno precedente mentre c’è stata un incremento della produzione di olio greggio del 26,13%.