Lunedì 29 Aprile 2024

Come Dj Fabo, l'ultimo viaggio di Gianni. "Amava la vita, ma era stanco di soffrire"

Suicidio assistito per un pensionato di Venezia nella stessa clinica svizzera Dj Fabo, l'amico: "Non sono triste, ha scelto lui"

Gianni Trez (Ansa)

Gianni Trez (Ansa)

Milano, 1 marzo 2017 -  Lunedì l’ha fatto un giovane dj – come ripeteva lui stesso – «un po’ ribelle», ieri invece è toccato a un tranquillo pensionato della Telecom. Domani, chissà. Una fuga, quella verso la Confederazione, che negli anni ha coinvolto decine di persone. Persone note e casi mediatici, come appunto quello di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, che prima di andarsene ha provato a scuotere dal torpore i parlamentari italiani. Ma anche cittadini «normali» che, nel silenzio, scelgono di attraversare il confine per mettere fine a sofferenze non più sopportabili.

Così capita che, subito dopo Dj Fabo, passi dalla clinica Dignitas vicino a Zurigo, Gianni Trez, 64 anni di Venezia, dipendente Telecom in pensione. Malato di un tumore incurabile da circa due anni. Proprio come Fabiano, anche Trez ha deciso di lasciare l’Italia e il suo continuo rimandare la discussione di una legge sul fine vita (l’ultimo rinvio è datato 24 febbraio), e andare a morire in Svizzera. E così ha fatto: nel primo pomeriggio di ieri è stata la stessa moglie dell’uomo, Emanuela Di Sanzo, a dare la notizia: «Non ha sofferto, era sereno, io e mia figlia gli abbiamo stretto le mani fino all’ultimo. Sembra difficile crederlo, ma era proprio tranquillo. Come diceva sempre, per lui è stato più facile morire che vivere soffrendo e senza dignità. Lui amava la vita ma era davvero stanco di soffrire».

IL CALVARIO di Trez è simile a quello di tanti altri italiani, costretti a convivere con un corpo che vorrebbero solo uccidere e con un vuoto legislativo che li condanna per una fine dignitosa all’esilio oltre le Alpi. Gianni – ha raccontato la moglie – era malato da due anni e la sua malattia lo aveva «ridotto ad avere una non vita». È arrabbiata con la politica: «Perché dovrebbe evitare agli italiani questi pellegrinaggi crudeli». Lui stesso, prima di andarsene aveva raccontato la sua storia: «Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura. Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, un’altra operazione. E ho detto basta». Cosa potesse significare questo «basta» lo ha spiegato la signora Emanuela: «Mio marito è equilibrato, razionale, non ha mai avuto un momento di esitazione, ha iniziato a preparare questa cosa da quando si è manifestata la malattia. Diversi anni fa, ben prima che si ammalasse, abbiamo visto un programma tv dove si parlava di suicidio assistito in Svizzera. Gianni mi disse: se mi ammalo voglio morire in questo modo».

LA MALATTIA poi è arrivata davvero. E non gli ha lasciato scampo. Gli ha lasciato solo la lucidità di poter organizzare con la moglie l’ultimo viaggio. Così anche per lui, come per Fabo e per tanti altri prima di loro, sono arrivate le trafile burocratiche, le cartelle cliniche, gli esami, i colloqui con i medici e gli psicologi. I pensieri, la rabbia, le lacrime. E alla fine la liberazione. «Potrei vivere ancora mesi, – aveva detto Gianni lunedì – forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormire. Provo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso». Ieri la sofferenza di Gianni Trez è terminata. Le sue ceneri, ha detto la moglie, verranno disperse nel lago vicino alla clinica: «Un omaggio alla Svizzera» che è riuscita a mettere fine al loro dolore. Un omaggio che l’Italia invece non si merita: «Viviamo in un Paese incivile che non concede di morire in modo dignitoso».