Era Tito Livio. Ma nella foga dell’omelia il cardinale Salvatore Pappalardo lo chiamò Sallustio. La citazione in latino, però, era perfetta: "Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur". Scandì quelle parole il 4 settembre 1982 a Palermo nella chiesa di San Domenico, nel giorno dei funerali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E fece anche la traduzione a beneficio di chi non conosceva il latino: "Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici. E questa volta non è Sagunto. Ma Palermo, povera Palermo".
Un attacco frontale, con Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, e Giovanni Spadolini, presidente del Consiglio, nelle panche, in prima fila, in chiesa. La Chiesa, questa volta con la C maiuscola, attaccò così per la prima volta frontalmente la mafia. E prese posizione proprio con l’arcivescovo di Palermo che con quella citazione recuperata dal passato, denunciò l’isolamento in cui Dalla Chiesa, nei suoi cento giorni nel capoluogo siciliano, si trovò a operare. Nonostante gli fossero stati dati poteri speciali come prefetto. Quell’isolamento che lo portò a essere un bersaglio mobile e facilmente raggiungibile, come dimostrò la strage di via Carini, in cui morì.
Dieci anni dopo il cardinale Pappalardo sarà di nuovo costretto a pronunciare un’omelia sferzante davanti alle bare di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, uccisi a Capaci il 23 maggio del 1992. Riuscendo perfino ad anticipare quello che, dalla Valle dei Templi, avrebbe detto Giovanni Paolo II nel 1993, con la scomunica ai mafiosi: "Gli operatori di nefasti delitti possiamo annoverarli come veri cristiani o non sono da ritenere piuttosto come facenti parte della sinagoga (termine che fu poi costretto a precisare all’indomani per le proteste delle comunità ebraiche, ndr) di Satana?".