Giovedì 25 Aprile 2024

Dai big di Internet solo briciole al nostro fisco

In Italia versati 64 milioni su 2,4 miliardi di ricavi. Gli esperti: "C’è un problema geopolitico". Bruxelles pronta alla stretta, ma Trump frena.

Migration

di Achille Perego

L’Europa è pronta a stringere sulla tassazione dei giganti di Internet. Ma la volontà della Ue di arrivare anche da sola a introdurre la web tax, ribadita ieri dal Commissario all’Economia Paolo Gentiloni, deve fare i conti con l’America di Donald Trump che non sembra disposta ad arretrare sul fronte della difesa delle big tech, a partire dai Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon). L’introduzione di una web tax europea – con la stima di 5 miliardi di incassi annuali - ha ricevuto il primo via libera dal Parlamento europeo a fine 2018. L’obiettivo adesso è riuscire entro fine anno a vararla, a meno che si trovi un accordo in sede Ocse. Una trattativa non facile anche perché, approfittando dell’emergenza Covid, dal tavolo Ocse si è sfilata a giugno proprio l’amministrazione americana. Non un addio ma una sospensione spiegata, per lettera, ai ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito. I quattro Paesi che, pur esponendosi alle minacce di ritorsioni Usa (in primis la Francia, con tanto di rischio-dazi anche sullo champagne) si sono mossi da soli per introdurre – seppure non ancora a regime – web tax con aliquote attorno al 3% sui ricavi digitali, con la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager da sempre in prima linea nel contrasto ai vantaggi fiscali.

"La web tax - spiega Giuseppe Melis, ordinario di Diritto tributario alla Luiss Guido Carli - si scontra con due grandi problemi. Uno tecnico, su come applicare questa tassa sugli utenti online che generano i profitti delle piattaforme senza penalizzare le imprese digitali che già pagano le imposte. L’altro geopolitico, rappresentato dall’opposizione americana". Un braccio di ferro a rischio guerre commerciali che non può essere vinto dai singoli Paesi mentre l’Europa avrebbe più forza, ma è divisa all’interno, e in sede Ocse sarà difficile trovare un accordo senza gli Stati Uniti. Così resta un problema di giustizia ed equità e il mancato gettito, avverte Melis, creerà la mancanza di risorse agli Stati. L’Italia, dopo due tentativi falliti, ha previsto, con l’ultima Legge di Bilancio, la web tax da gennaio (ma si attendono i provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate) con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha confermato l’importanza di una soluzione globale come deciso dal G20.

A fronte di introiti fiscali finora quasi inesistenti (64 milioni nel 2018 con 2,4 miliardi di ricavi delle prime 15 società di servizi digitali mondiali secondo uno studio di Mediobanca), salvo qualche centinaio di milioni per gli accordi dell’Agenzia con alcuni over the top, la nuova digital tax dovrebbe garantire incassi ben maggiori (circa 700 milioni nel 2020 e nel 2021). Entrate che, come quelle a livello europeo, dovrebbero contribuire alle spese per l’emergenza Covid, come il Recovery fund. Contrastato proprio da quei Paesi (tra cui Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Cipro) che applicano una tassazione agevolata ai giganti di Internet. Quelli che hanno più guadagnato, dall’e-commerce allo smart working, proprio con la pandemia. La Commissione Ue intanto punta a un piano generale per un’azione fiscale equa, rafforzando il contrasto all’evasione e al dumping fiscale. Stimando che l’evasione fiscale internazionale da parte di privati sia di 46 miliardi e l’elusione dell’imposta sulle società di oltre 35.